Full Paper

L’impatto di stress, immunità e segnali dai sistemi endocrino e nervoso sulla fascia

Impact of stress, immunity, and signals from endocrine and nervous system on fascia

Traduzione a cura di: Traduzione: Marco Chiera
Autori:

Nicola Barsotti1, Marco Chiera2, Diego Lanaro3, and Massimo Fioranelli4

1 Società Italiana di Psiconeuroendocrinoimmunologia, Rome, Italy, 2 Società Italiana di Psiconeuroendocrinoimmunologia, Rome, Italy, 3 C.O.M.E. Collaboration ONLUS, Pescara, Italy, 4 Department of nuclear physics, sub-nuclear and radiation, Guglielmo Marconi University, Rome, Italy

Giornale: Rivista: Frontiers in Bioscience - Elite
Abstract:

La risposta di stress, tramite il rilascio dei glucocorticoidi e delle catecolamine e modificando le risposte endocrine, neurali e immunitarie, può influenzare la funzione dei fibroblasti e dei miofibroblasti che risiedono in tutto il corpo e soprattutto nella fascia, un tessuto connettivo ubiquitario e multi-funzionale che supporta il corpo. Nel presente articolo, eseguiamo una revisione di queste risposte indotte dallo stress sulla base della psiconeuroendocrinoimmunologia.

Articolo

TABELLA DEI CONTENUTI

  1. Abstract
  2. Introduzione
  3. La risposta di stress: una spiegazione aggiornata

3.1. La stanza di controllo dello stress: l’ipotalamo

3.2. I tre rami della risposta di stress

3.3. Gli effetti sistemici degli ormoni dello stress

3.4. Il sistema immunitario e la sua relazione con la risposta di stress

  1. Il tessuto connettivo

4.1. La struttura e la funzione della MEC

4.2. I fibroblasti

4.3. I miofibroblasti

  1. Gli effetti acuti e cronici dello stress e dell’immunità su fascia, muscoli e ossa

5.1. Gli effetti acuti e cronici del cortisolo su fascia, muscoli e ossa

5.2. Gli effetti acuti e cronici dell’adrenalina e della noradrenalina sulla fascia

5.3. Le interazioni fra l’asse HPA, gli ormoni sessuali e la fascia

5.4. Le interazioni fra le cellule immunitarie e il tessuto connettivo

5.5. Riassunto degli effetti dello stress e dell’immunità sulla struttura corporea

  1. Conclusioni e implicazioni per le terapie corporee
  2. Ringraziamenti
  3. Riferimenti bibliografici

INTRODUZIONE

L’asse ipotalamo-ipofisi-surreni (HPA) e la risposta di stress sono fondamentali per aiutare l’organismo a far fronte a minacce fisiche e avversità psicosociali. Oggi, è disponibile una vasta letteratura su come:

  1. la risposta di stress possa influenzare ogni asse endocrino (1–3);
  2. molte cellule di tessuti diversi possano produrre e secernere gli ormoni dello stress (e anche le catecolamine), influenzando così l’asse HPA centrale e l’intero organismo (4–6);
  3. l’asse HPA possa pesantemente condizionare il sistema immunitario (7, 8);
  4. la risposta di stress possa modificare la struttura corporea (9, 10).

La fascia è un particolare tipo di tessuto connettivo – diverso da sangue, cartilagini e ossa – dotato di una natura ubiquitaria e multi-funzionale: fornisce infatti l’architettura strutturale e funzionale del corpo. La fascia integra le funzioni di diversi sistemi (es. i sistemi nervoso, immunitario e cardiovascolare) e può trasmettere informazioni meccaniche, chimiche ed elettriche (11–13). La fascia non ha una definizione universalmente accettata (13), ma dato che definire la fascia non è fra i nostri scopi, rimandiamo i lettori a dei riferimenti più approfonditi (14, 15).

Per semplicità, considereremo i termini “fascia” e “sistema fasciale” secondo le definizioni date da Carla Stecco e Robert Schleip in un editoriale sulla scienza della fascia e le sue applicazioni cliniche: una fascia è “una guaina, un rivestimento o qualsiasi numero di altre aggregazioni dissezionabili di tessuto connettivo che si formano sotto la pelle per attaccare, circondare e separare muscoli e altri organi interni” mentre il sistema fasciale è “una rete di tessuti interagenti, interrelati e interdipendenti che formano un intero complesso, tutti collaboranti nell’eseguire un movimento” [tr. nostre]. Mentre questa definizione di “fascia” può essere utile per descrivere l’anatomia del corpo, il termine “sistema fasciale” può aiutare i terapeuti manuali nello spiegare cosa accade durante una terapia manuale (16).

Nonostante la risposta di stress possa alterare la fascia e i tessuti annessi (10), sembra che nessun articolo si sia concentrato sul descrivere le relazioni fra la risposta di stress e la fascia. Alla data del 13 giugno 2020, ad esempio, solo quattro studi si possono ottenere da PubMed con la stringa di ricerca ‘fascia AND (“stress response” OR “HPA axis” OR “stress axis” OR “hypothalamic-pituitary-adrenal axis”)’. Solo uno di questi articoli discute brevemente della relazione fra l’iperattività dell’asse HPA ed eventuali disfunzioni fasciali in caso di fibromialgia (17). A fronte dell’attenzione data alla fascia da molti terapeuti manuali, pensiamo sia fondamentale mostrare come la risposta di stress, la fascia il sistema immunitario possano interagire fra loro.

Comprendendo le relazioni fisiopatologiche fra stress, immunità e fascia, è possibile capire meglio le interazioni fra le funzioni (es. circolazione, immunità e regolazione neuro-ormonale) e le strutture (es. sistema fasciale, muscoli e ossa) corporee. Inoltre, recenti avanzamenti in vari campi – fra cui medicina, psicologia, sociologia, biologia, meccanobiologia e psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI), branca che studia le interazioni fra mente, corpo ed ambiente nell’equilibrio fra salute e malattia (1, 18) – hanno riconosciuto come le patologie croniche possano trarre beneficio da un approccio terapeutico che consideri:

  • lo stile di vita del paziente – emozioni, dieta e attività fisica possono influenzare il decorso di molte malattie (19–22);
  • le influenze sistemiche di ogni organo – es. il circolo vizioso che connette disbiosi, artrite, lombalgia e Parkinson (23, 24);
  • i benefici di terapie farmacologiche e non-farmacologiche (18) – i medici devono curare le malattie, ma anche perseverare e promuovere la salute.

Ora, mentre interventi non-farmacologici come le terapie manuali e del movimento (es. massaggio, trattamento manipolativo osteopatico, shiatsu, esercizi di respirazione, Taiji Quan e Qigong) si sono dimostrati efficaci nel preservare, promuovere e recuperare la salute (25–28), essi sono ancora privi di un forte razionale (29–31). I terapeuti manuali e del movimento necessitano di una miglior comprensione di come il corpo possa essere influenzato dalla risposta di stress e dal sistema immunitario. Altrimenti, possono non avere una buona concezione delle potenzialità e dei limiti di queste terapie e considerare il dolore del paziente solo in termini meccanici.

Pertanto, il presente articolo mira a descrivere (i) le caratteristiche principali della risposta di stress e la sua influenza sul sistema immunitario; (ii) la fascia come tessuto connettivo, spiegando il comportamento di fibroblasti e miofibroblasti (32); (iii) le principali interazioni fra stress, immunità e fascia (Figura 1).

  1. LA RISPOSTA DI STRESS: UNA SPIEGAZIONE AGGIORNATA

Il termine “stress” è stato usato per la prima volta da Walter Bradford Cannon (33), mentre l’esistenza dell’asse HPA è stata teorizzata da Hans Selye (34). Selye considerava lo stress come l’essenza della vita in quanto l’attivazione dell’asse HPA permette agli esseri viventi di rispondere a stimoli endogeni ed esogeni, fra cui cambiamenti nell’idratazione o nel pH tissutale, infezioni, temperatura ambientale, inquinanti, etc. (34, 35). Sebbene Selye avesse definito la risposta di stress come “una sindrome prodotta da diversi agenti nocivi” [tr. nostra] (36), si scoprì in seguito che l’asse HPA umano viene attivato soprattutto da stimoli psicosociali (37), i quali possono intensamente influenzare l’asse HPA e le annesse risposte neuroendocrine tramite numerose molecole prodotte dal cervello, avendo così un pesante impatto sulla salute e sulla longevità (19, 38–40).

3.1. La stanza di controllo dello stress: l’ipotalamo

L’ipotalamo comanda il sistema endocrino e rilascia vari neurotrasmettitori che circolano attraverso il cervello e il corpo. La sua attività può essere così riassunta (35):

  1. secerne arginina vasopressina (AVP) e ossitocina (OXT). Questi due ormoni agiscono soprattutto sui reni (41), il cervello, l’utero durante la gravidanze e le ghiandole mammarie dopo il parto (42);
  2. secerne gli ormoni che regolano la parte anteriore della ghiandola pituitaria. Questa parte dell’ipofisi rilascia di conseguenza specifici ormoni per regolare l’attività di gonadi, utero, cortecce surrenali, fegato, ossa e tiroide (43);
  3. secerne ormoni e stimola il sistema nervoso ortosimpatico (SNS) per controllare le midollari dei surreni, il pancreas (44) e la ghiandola pineale (45).

3.2. I tre rami della risposta di stress

La risposta di stress parte dal nucleo paraventricolare (PVN) e coinvolge diversi circuiti neuroendocrini. I tre rami principali della risposta di stress sono (35):

  1. l’asse HPA. Origina dai nuclei parvocellulari del PVN che rilasciano l’ormone rilasciante la corticotropina (CRH), inducendo così l’ipofisi a secernere l’ormone adrenocorticotropo (ATCH) (35, 46), il quale stimola le cortecce surrenali a secernere cortisolo. I nuclei parvocellulari ricevono informazioni riguardanti (i) il corpo dal nucleo del tratto solitario e dagli organi circumventricolari; (ii) gli stati emotivi ed affettivi da aree limbiche come le amigdale (47), i centri nocicettivi e altre aree corticali (48);
  2. l’asse ipotalamo-SNS-midollari dei surreni. Origina dai neuroni di proiezione del PVN che inviano informazioni al tronco cerebrale, in particolare al locus coeruleus e al midollo rostrale ventromediale (RVM). Mentre il locus coeruleus rappresenta il centro noradrenergico primario del cervello, i nuclei del RVM controllano l’SNS (49). Le midollari dei surreni possono anche venire attivate da diverse aree motorie (corteccia premotoria, corteccia motoria primaria, are motoria supplementare, aree rostrale e caudale della corteccia cingolata), dalle cortecce mediali prefrontrali (corteccia orbitofrontale ventromediale) e dalla corteccia cingolata anteriore (pregenuale e subgenuale). Tutte queste zone sono connesse alle amigdale e all’ipotalamo e usano il circuito corticospinale per trasmettere informazioni dal cervello all’organismo (50). Questa informazione arriva alle cellule cromaffini delle midollari dei surreni e le stimola a secernere adrenalina, noradrenalina e un poco di dopamina (43). Questo percorso diretto fra le aree motorie cerebrali e le midollari dei surreni permette agli stressors di allertare immediatamente il sistema muscolare (50);
  3. l’asse ipotalamo-ipofisi posteriore. Origina dai nuclei magnocellulari del PVN che ricevono informazioni inerenti allo stato dei fluidi corporei, fra cui il volume sanguigno, e può rilasciare AVP e OXT per regolare la pressione sanguigna, il volume sanguigno e l’idratazione (35).

Questi tre assi sono regolati tramite feedback negativi: l’ipotalamo e l’ipofisi monitorano infatti i livelli plasmatici di cortisolo e catecolamine tramite recettori per i glucocorticoidi e i mineralcorticoidi (35).

3.3. Gli effetti sistemici degli ormoni dello stress

Un’approfondita conoscenza degli effetti degli ormoni dello stress è necessaria per capire il loro impatto sulla struttura corporea:

  1. il CRH si correla all’ansia e all’iperattività motoria. Il CRH può inibire l’attività di altri ormoni ipotalamici, ossia: dell’ormone rilasciante la tireotropina (TRH), aumentando il rischio di ipotiroidismo; dell’ormone rilasciante la gonadotropina, facilitando disordini riproduttivi; e l’ormone rilasciante l’ormone della crescita, promuovendo problemi nei bambini che vivono alti livelli di stress (43). Il CRH è anche prodotto dalle cellule immunitarie e dal sistema nervoso autonomico (SNA). Il CRH ha un effetto pro-infiammatorio, stimolando i mastociti in molti tessuti e organi fra cui l’intestino, il cervello, le mucose respiratorie, la prostata, la vagina, l’utero, il cuore e anche la fascia (51);
  2. l’ACTH induce le cortecce surrenali a produrre cortisolo, deidroepiandrosterone e aldosterone. L’ACTH può anche stimolare gli adipociti a produrre l’interleuchina-6 (IL-6), favorendo così l’insulino-resistenza in caso di stress cronico (52);
  3. il cortisolo è il principale ormone rilasciato dall’asse HPA. In caso di stress acuto, il cortisolo prepara un individuo a rispondere a stressor cognitivi o fisici: aumenta la vigilanza e mobilizza le risorse energetiche e muscolari. In caso di stress cronico, il cortisolo comporta diversi effetti: (i) i dendriti nelle cortecce ipotalamiche e mediale prefrontrali decrescono (35) mentre aumentano nelle amigdale – questa riorganizzazione neurale si basa su meccanismi epigenetici reversibili (53); (ii) l’arousal di particolari circuiti immunitari pro-infiammatori (54); (iii) stress sul sistema cardiovascolare, con un aumentato rischio di malattie cardiache (55); (iv) l’alterazione dei lipidi circolanti, impattando la funzione del sistema metabolico (56); (v) la riduzione del flusso sanguigno verso la mucosa dello stomaco, favorendo ulcere gastriche (57); (vi) possibili fibrosi e steatosi nel fegato (58); (vii) un aumentato rischio di patologie oculari quali il glaucoma (59). Inoltre, il cortisolo influenza le ossa, i muscoli e la fascia (9);
  4. l’OXT aumenta durante le interazioni sociali con effetti positivi sull’umore e costituisce l’ormone dell’amore e dell’empatica – aiuta la formazione dei legami sociali in molti tipi di relazioni, come la famiglia e l’amicizia. L’OXT può essere rilevata nel solco temporale superiore e nel giro fusiforme: il primo è coinvolto nei compiti cognitivi, mentre il secondo nel riconoscimento delle emozioni dalle espressioni facciali. L’OXT stimola inoltre le contrazioni muscolari uterine per indurre il parto e regola i livelli di acido gamma-aminobutirrico per permettere lo sviluppo cerebrale dei neonati (35, 60);
  5. l’AVP influenza la pressione arteriosa e il metabolismo dei fluidi corporei, e attiva l’asse HPA assieme al CRH (35, 61);
  6. l’adrenalina, secreta dalle midollari dei surreni, è il mediatore chimico delle vie nervose adrenergiche. Accelera il battito cardiaco, aumenta la pressione sanguigna, dilata le coronarie, stimola l’attività miocardica, induce la vasocostrizione, stimola la glicogenolisi epatica, aumenta la glicemia, inibisce l’attività muscolare bronchiale ed intestinale e ha un’azione emostatica e ischemica locale. L’adrenalina agisce in particolare sui recettori alfa e beta-2 (62);
  7. la noradrenalina agisce sui nervi simpatetici post-ganglionici e induce un’intensa vasocostrizione accompagnata da un aumento della pressione diastolica (62). Si trova accumulata in grandi quantità negli organi linfoidi secondari, nei tessuti linfoidi associati alle mucose, all’intestino e ai bronchi, e nella milza, dove i due rami del SNA si uniscono per creare diversi riflessi integrati necessari per regolare l’infiammazione sistemica e la risposta immunitaria (63, 64).

3.4. Il sistema immunitario e la sua relazione con la risposta di stress

Per meglio capire gli effetti della risposta di stress sull’immunità, riportiamo una breve descrizione dei quattro principali sottosistemi immunitari (65). Questa classificazione, tuttavia, è più concettuale che reale dato che le cellule bianche possono modificare il loro fenotipo sulla base degli stimoli esterni (es. citochine) o simultaneamente esprimere caratteristiche di due differenti sottosistemi immunitari (65, 66). I quattro principali sottosistemi sono quindi:

  1. l’immunità di tipo 1: protegge l’organismo da virus e cellule neoplastiche ma produce anche effetti pro-infiammatori e può portare allo sviluppo di patologie autoimmuni, fra cui il diabete di tipo 1 e la sclerosi multipla. I fagociti dell’immunità di tipo 1 ripuliscono dalle cellule morenti e dai detriti e rilasciano radicali liberi ed enzimi per distruggere i patogeni, uccidere le cellule infettate, digerire le cellule morenti e la matrice extracellulare (MEC). Questo sottosistema include anche le cellule linfoidi innate (ILC) di tipo 1 e tipo 3, le quali permettono ai tessuti di ripararsi e recuperare le loro caratteristiche fisiologiche. A causa della sua natura fortemente infiammatoria, l’immunità di tipo 1 agisce assieme all’immunità di tipo 2, la quale è tipicamente anti-infiammatoria, per ottenere una riparazione tissutale ottimale (67);
  2. l’immunità di tipo 2: protegge l’organismo da parassiti extracellulari, veleni, tossine e può essere attivata dagli antigeni. Questo sottosistema si trova primariamente nell’intestino, nell’apparato respiratorio e nelle mucose degli organi riproduttivi, dove controlla il reclutamento degli eosinofili e delle immunoglobuline (68). Un’attività eccessiva di questo sottosistema può portare a riposte allergiche (es. asma e dermatite) (68) e patologie autoimmuni caratterizzate dalla produzione di anticorpi (es. lupus). Può anche peggiorare la progressione di malattie neoplastiche se presenti. Le cellule dell’immunità di tipo 2, fra cui le ILC di tipo 2 residenti nei tessuti, (69), secernono citochine che regolano processi quali la riparazione tissutale e il controllo metabolico e termico (65, 70). L’immunità di tipo 2 agisce contro quegli organismi troppo grandi per essere ingeriti da una singola cellula (71) e la cui eliminazione richiede un cospicuo rimodellamento tissutale. Dato che possono quindi pesantemente rimodellare i tessuti, le cellule e le citochine tipiche dell’immunità di tipo 2 possono indurre fibrosi organiche: in caso di infiammazione cronica, stimolano l’attivazione dei fibroblasti, la differenziazione dei miofibroblasti e la secrezione e il deposito della MEC (67);
  3. l’immunità di tipo 3: agisce sui microbi extracellulari e i funghi, regolando il microbiota (72). Protegge i tessuti dai danni – rinforzando le barriere epiteliali e rendendole resistenti dall’attività microbica – ma può indurre quella forte infiammazione che caratterizza le patologie autoimmuni croniche (es. artrite reumatoide e psoriasi) (67);
  4. l’immunità regolatoria: agisce attraverso linfociti regolatori – possono mostrare differenti fenotipi in base al tessuto e al suo stato di salute – per monitorare gli altri tipi di immunità e controllare l’infiammazione. L’immunità regolatoria previene le patologie autoimmuni ed allergiche riducendo l’infiammazione e protegge da infezioni e tumori aumentando l’infiammazione. Questo tipo di immunità può anche influenzare la comunicazione neuroendocrina (66, 73–75).

Molte cellule immunitarie, fra cui le natural killer (NK), i macrofagi e le ILC-1, esprimono recettori per i glucocorticoidi sulle loro membrane cellulari in modo da coordinare le loro azioni localmente e tramite la ricezione di segnali sistemici (67). Molte cellule immunitarie, dai mastociti ai linfociti Th0 naive, esprimono anche recettori per le catecolamine (es. recettori adrenergici alfa-2 e beta-2) per captare i segnali derivanti dal ramo nervoso della risposta di stress (63). Pertanto, tramite il rilascio di glucocorticoidi e catecolamine nel flusso sanguigno, il sistema neuroendocrino può regolare la forza e la durata dell’infiammazione e proteggere l’organismo.

In caso di stress acuto, le catecolamine inducono le cellule immunitarie a muoversi dentro i tessuti (76) e a specializzarsi: le cellule Th0 naive possono diventare Th1 (immunità di tipo 1), Th2 (immunità di tipo 2), Th17 (immunità di tipo 3) o cellule Treg (immunità regolatoria). I linfociti B e T, gli anticorpi e le cellule NK aumentano per montare una risposta adeguata: di tipo 1 per contrastare virus, microbi intracellulari e neoplasie; di tipo 2 per contrastare parasiti e tossine; di tipo 3 per contrastare microbi extracellulari e funghi (63). Al contrario, su linfociti già differenziati, le catecolamine e il cortisolo mostrano un’azione anti-infiammatoria (8, 63).

In caso di stress cronico, la situazione è molto più complessa (8, 63, 77):

  1. il cortisolo e le catecolamine smorzano l’immunità di tipo 1 e rinforzano l’immunità di tipo 2, riducendo così l’abilità di lottare contro virus e neoplasie. Le citochine di tipo 2 e regolatorie quali l’IL-13 e il fattore di crescita trasformante-beta (TGF-beta) passano da anti-infiammatorie a pro-infiammatorie e possono provocare alterazioni della trama tissutale (es. demielinizzazione) e fibrosi (il link fra TGF e fibrosi è discusso nelle sezioni 4 e 5). Dato che l’immunità di tipo 2 recluta e attiva eosinofili, basofili, mastociti e IgE, possono manifestarsi delle risposte allergiche (65, 66, 75, 78);
  2. l’attivazione cronica del SNS può indurre una down-regolazione dei recettori adrenergici beta-2, il che favorisce l’iper-produzione di citochine infiammatorie come il TGF-beta, e l’ipo-attivazione del sistema nervoso parasimpatico, il quale fallisce così nell’attivare i riflessi splenici anti-infiammatori del SNA (79). L’iper-attivazione dell’asse HPA può rendere i linfociti resistenti ai glucocorticoidi a causa degli alti livelli circolanti di questi stessi ormoni – il cortisolo perde l’abilità di sopprimere l’immunità di tipo 1, facilitando così malattie autoimmuni (3).
  3. IL TESSUTO CONNETTIVO

Il tessuto connettivo rappresenta uno dei quattro principali tessuti organici del corpo ed è essenzialmente costituito dalla MEC e dalle cellule in essa contenute (80).

4.1. La struttura e la funzione della MEC

La MEC permette al tessuto connettivo di svolgere le sue varie funzioni: dare una forma agli organi, supportarli, proteggerli, permettere la comunicazione fra sistemi, etc. Dato che ogni cellula si trova all’interno della MEC, la forma e la funzione di ogni cellula dipendono dalla MEC (80).

Il costituente primario della MEC è il procollagene, il quale diventa collagene dopo diverse reazioni enzimatiche post-traslazionali. Il collagene è una proteina formata da una tripla elica di polipeptidi, ciascuno costituito da un’alternanza di tre aminoacidi: glicina, prolina e lisina (81). La formazione del collagene necessita della reazione di glicosilazione, la quale attacca un carboidrato alla catena laterale degli aminoacidi del collagene. Se la glicosilazione avviene in maniera eccessiva, la struttura del collagene potrebbe diventare non più adatta per permettere le funzioni di questa proteina (81): sia il tessuto connettivo sia le ossa potrebbero così risentirne, perdendo elasticità e robustezza. Questo fenomeno può accadere in caso di iperglicemia: la quantità di carboidrati circolanti nel flusso sanguigno e nel tessuto è così alta che la glicosilazione comincia spontaneamente, senza l’intervento di enzimi. Questo processo prende il nome di “glicazione” e provoca la formazione dei “prodotti finali della glicazione avanzata” (AGE), i quali possono accelerare l’invecchiamento e i processi degenerativi (82). Gli AGE possono accumularsi nel tessuto connettivo e fasciale e causare sia infiammazione sia disordini strutturali e funzionali – il turnover del collagene sembra alquanto lento, mostrando un’emivita di 4-12 mesi nel fegato e addirittura di 215 anni nei dischi intervertebrali di un uomo anziano (83, 84).

Il collagene costituisce circa il 30% delle proteine contenute nell’intero corpo e può essere classificato in 28 tipi di fibre diverse (81). Siccome ogni fibra ha caratteristiche differenti, la composizione collagenica della MEC cambia a seconda dello stress, soprattutto meccanico, a cui è sottoposta. Ad esempio, i tendini, i menischi e l’anulus fibrosus dei dischi intervertebrali sono formati da collagene di tipo I, il quale è particolarmente adatto per resistere alle trazioni, mentre le cartilagini articolari e il nucleo polposo sono formati da collagene di tipo II, il quale è molto adatto a resistere alle compressioni (85–87). Lo stress meccanico permette la differenziazione del tessuto connettivo ad ogni età, e le differenti combinazioni di forze compressive e tensive inducono la formazione di diverse fibre di collagene in modo che il tessuto connettivo possa adattarsi agli stimoli meccanici quotidiani. Pertanto, medici, fisioterapisti e terapeuti manuali come osteopati o chiropratici dovrebbero comprendere il ruolo biomeccanico e la funzione di ogni struttura collagenica, in modo da scegliere in maniera appropriata il tipo ottimale di forza per stimolare un buon recupero strutturale e funzionale (85–87).

La MEC contiene anche fibre elastiche e reticolari. Le fibre reticolari costituiscono lo stroma dei tessuti emopoietici e linfatici (timo escluso), ma vengono sostituite da fibre di collagene più forti in caso di lesioni (80, 88). Le fibre elastiche formano la MEC di vari tessuti, fra cui i muscoli lisci, soprattutto quelli vascolari – le fibre elastiche costituiscono il 50% di un vaso sanguigno –, l’epitelio polmonare, la pelle, le cartilagini elastiche e anche alcuni tendini e legamenti (circa il 2-5% della loro massa) (80, 81, 89).

La MEC è fatta anche di sostanza fondamentale, una sostanza amorfa, acquosa e viscosa simile ad un gel e ricca di lunghe catene molecolari: i glicosaminoglicani (GAG), i proteoglicani e glicoproteine multi-adesive (80). Queste molecole si intrecciano con le fibre di collagene, con diverse proteine poste nelle membrane cellulari, quali le integrine, e con il citoscheletro per creare una struttura reticolare che dà forma e protegge le cellule che il citoscheletro circonda. Questa complessa struttura permette lo scambio di sostanze e la comunicazione fra cellule, appoggiandosi alle integrine grazie alla loro particolare sensibilità verso gli stimoli meccanici: le integrine possono trasdurre le forze meccaniche esterne in segnali biochimici intracellulari che possono alterare l’espressione genica – pertanto, gli stimoli meccanismi possono indurre effetti epigenetici (89).

I proteoglicani e i GAG possono assorbire gli shock compressivi in tessuti quali le cartilagini e i dischi intervertebrali, proteggendo così il corpo da stress meccanici improvvisi o eccessivi. Quando i proteoglicani si uniscono all’acqua attirata dai GAG, il tessuto connettivo diventa viscoelastico e le fibre di collagene possono efficientemente scivolare le une sulle altre. I GAG e i proteoglicani che contengono acido ialuronico prevengono il movimento indesiderato di sostanze fra i tessuti: infatti, molecole come i fattori di crescita devono rimanere confinate all’interno dello specifico tessuto che li richiede. GAG e proteoglicani prevengono anche l’infiltrazione di microbi e cellule neoplastiche, le quali devono catabolizzare la MEC per farsi strada nel tessuto connettivo (81, 89).

Infine, la MEC contiene glicoproteine multi-adesive (es. fibronectina e laminina) che uniscono tutte le altre fibre fra loro e interagiscono con le integrine e i recettori per la laminina, in modo da stabilizzare la MEC. Le glicoproteine multi-adesive possono trasmettere le forze meccaniche attraverso la MEC fino al citoscheletro (89) e ricevono una stimolazione diretta durante l’attività fisica e le terapie manuali – tali stimoli meccanici influenzano la sintesi di queste proteine e del collagene (90, 91).

Tutte le componenti della MEC sono egualmente importanti per un tessuto connettivo in salute: dato il ruolo della MEC a livello strutturale, nutritivo ed immunitario, ogni disturbo che influenza una di queste componenti può avere gravi conseguenze per l’organismo (92). In particolare, negli ultimi anni, la meccanobiologia ha mostrato che lo stato tensionale della MEC ha un impatto significativo sulla differenziazione e proliferazione cellulare. Ad esempio, una cellula staminale mesenchimale può diventare un neurone, un adipocita, un miocita scheletrico, un osteocita o un altro tipo di cellula sulla base della rigidità della MEC: una bassa rigidità della MEC (bassa tensione meccanica) può indurre un neurone, mentre un’alta rigidità (alta tensione meccanica) un osteocita (93).

Inoltre, studi recenti hanno scoperto che molte funzioni fisiologiche dipendono dalla dimensione meccanica. Ad esempio, il sonno e la febbre stimolano la risposta immunitaria tramite proteine meccano-sensibili: la febbre stimola l’espressione delle proteine da shock termico sui linfociti per farli unire con le integrine di altre cellule (94), mentre il sonno previene l’accumulo di agonisti per i recettori accoppiati alla proteina Gas, proteine immunosoppressive che bloccano le integrine linfocitarie (95).

4.2. I fibroblasti

La MEC e le sue componenti derivano delle cellule che vivono all’interno del tessuto connettivo e, in particolare, dai fibroblasti che regolano la struttura, funzione e turnover della MEC (80).

I fibroblasti sono molto eterogenei e mostrano differenti capacità secretorie: alcuni fibroblasti producono solo collagene di tipo I, mentre altri solo collagene di tipo III (96). Sono cellule fusiformi e piatte, prive di una membrana basale e dotati di diversi processi, uno o due nuclei, e di un reticolo endoplasmatico rugoso e un apparato di Golgi prominenti. Il loro citoscheletro mostra un’abbondanza di filamenti intermedi costituiti soprattutto da vimentina, acitna e miosina, la quale permette una buona motilità (97, 98). I fibroblasti che risiedono in diversi organi possono essere molto diversi fra loro: ad esempio, i fibroblasti trovati nel cuore (97–99) differiscono da quelli nei polmoni (100, 101), nel peritoneo (102) o che si trovano altrove (99).

Ogni fibroblasto risponde prontamente a diversi stimoli, sia meccanici (es. forze compressive e tensive o stress di taglio derivante dal flusso dei fluidi) o chimici (es. citochine, omoni o ipossia), influenzando di conseguenza il comportamento delle cellule adiacenti (100). In caso di infiammazione cronica o lesioni ripetute, tutti i fibroblasti possono promuovere fibrosi in quanto sono in grado di secernere una grande quantità di collagene e altre sostanze, fra cui molecole di adesione cellulare vascolare e molecole di adesione intercellulare, le quali si legano ai leucociti e aumentano l’infiammazione (100). Come eccezione, i fibroblasti orali non possono indurre né fibrosi né tessuto cicatriziale: sono simili ai fibroblasti fetali, i quali secernono i più alti livelli di citochine anti-infiammatorie rispetto a tutti gli altri fibroblasti (103).

Quando l’organismo necessita di produrre più MEC, ad esempio durante la crescita o la riparazione delle lesioni, i fibroblasti aumentano il loro citoplasma per sviluppare un reticolo endoplasmatico rugoso (sintesi proteica) e un apparato di Golgi (trasporto vescicolare) più grandi. Come conseguenza, essi diventano “fibroblasti attivati”: secernono una maggior quantità di proteine, GAG e procollagene, in particolare per la formazione di collagene di tipo I e III. I fibroblasti attivati producono anche fibronectina, periostina, metalloproteinasi (MMP) e citochine pro-infiammatorie come l’IL-6, il TGF-beta e l’endotelina-1, le quali hanno azioni locali autocrine e paracrine. Nel rimodellare la MEC, i fibroblasti vengono aiutati da varie cellule, come i miociti e le cellule endoteliali, e soprattutto dalle cellule immunitarie: in particolare, neutrofili, macrofagi e mastociti (80, 90).

I leucociti producono proteine funzionali quali MMP, fattori di crescita e citochine, mentre i fibroblasti, i miociti e le cellule endoteliali secernono primariamente le proteine strutturali della MEC (90). Di contro, la MEC e le proteine disperse in essa condizionano il fenotipo e l’attività dei fibroblasti. Ad esempio, una sostanza fondamentale glicata a causa dell’iperglicemia aumenta l’apoptosi dei fibroblasti e riduce la loro abilità di proliferare e migrare. Riduce la sintesi di collagene, MMP-1, MMP-2 e acido ialuronico e rallenta sia l’angiogenesi sia il reclutamento delle cellule immunitarie – tutto ciò mina la guarigione tissutale (96).

L’attività dei fibroblasti è influenzata anche dal pH extracellulare: se questo cade sotto 6,7, come in caso di neoplasie o ischemia, il ciclo circadiano dei fibroblasti diventa accelerato – iniziano a vivere giornate da 22 ore (104), il che li rende più suscettibili a tossine endogene ed esogene e ad indurre infiammazione (105). Inoltre, l’acidità extracellulare può aumentare l’attività delle proteasi (es. MMP) che possono rimodellare il tessuto connettivo durante lo stress acuto, ma anche indurre infiammazione e distruzione tissutale nel lungo periodo. L’acidità può anche causare cellule allungate e deformate, facilitare l’attivazione delle integrine, stimolare l’adesione cellulare (es. fra endotelio e neutrofili) e rallentare la velocità di migrazione cellulare (106). Grandi cambiamenti nel pH extracellulare, sia verso l’acidosi o l’alcalosi, riducono fortemente la secrezione dei GAG (107) e modificano diverse cellule come i periciti (le cellule contrattili dentro le pareti dei vasi sanguigni), gli adipociti e le cellule epiteliali, trasformandole in fibroblasti attraverso il fenomeno conosciuto come transizione epitelio-mesenchimale (EMT) (96) (Figura 2).

L’EMT può essere un processo sia fisiologico (es. guarigione di una lesione) sia patologico (es. fibrosi e neoplasie), e può essere facilitato da molecole pro-infiammatorie come l’NF-kappaB e il TGF-beta – il TGF-beta induce pesantemente l’attivazione dei fibroblasti e la fibrosi (108, 109) – e da condizioni come l’iperglicemia o gli interventi chirurgici (102). Le cellule trasformate attraverso l’EMT, tuttavia, possono tornare al loro stato originale una volta che lo stressor che ha indotto l’EMT è passato (96).

Fra le cellule che appaiono tramite l’EMT, possiamo trovare i miofibroblasti (110) (Figura 2).

4.3. I miofibroblasti

I miofibroblasti derivano da fibroblasti che sviluppano un citoscheletro simile a quello dei miociti e possono essere indotti da stress meccanico, citochine e altri stimoli. I miofibroblasti esprimono fibre di alfa-actina della muscolatura liscia (alfa-SMA) simili a quelle dei miociti, che permettono loro di produrre forti contrazioni cellulari e tissutali, le quali compattano il collagene e la sostanza fondamentale ogni volta che nuova MEC è secreta (98, 99). Queste contrazioni pongono i miofibroblasti in uno stato di pre-stress per meglio reagire a stimoli meccanici interni od esterni (come paragone, il suono prodotto da un violino dipende dalla tensione delle sue stringhe). Quando i miofibroblasti sono in uno stato di pre-stress, anche la fascia è in uno stato di pre-stress (111, 112).

I fibroblasti a riposo posseggono filamenti di actina e miosina, ma non possono creare adesioni cellula-cellula o cellula-MEC o sostenere un alto carico meccanico: la MEC stessa li protegge da un simile stress meccanico eccessivo (108, 113). In caso di stress meccanico o chimico, i fibroblasti iniziano a produrre filamenti di beta-/gamma-actina citoplasmatica e fibronectina, e acquisiscono la capacità di creare adesioni focali, un tipo particolare di giunzione cellulare, e di unirsi alla MEC – nascono i proto-miofibroblasti (108, 110, 113, 114). Se questa stimolazione continua, come nel caso di lesioni tissutali o infiammazione cronica, le integrine localizzate nella membrana cellulare dei proto-miofibroblasti inducono il rilascio di TGF-beta1 dal grande complesso latente (LLC). Anche enzimi proteolitici come MMP, plasmina, trombina ed elastasi possono liberare il TGF-beta1 “digerendo” l’LLC (115, 116).

Il TGF-beta1 è solitamente una citochina anti-infiammatoria simile all’IL-10, ma può indurre una risposta immunitaria di tipo 3, forti infiammazioni e fibrosi (117) – il TGF-beta1 sembra il maggiore stimolo che porta i miofibroblasti a differenziarsi e a produrre contrazioni (118, 119). Il TGF-beta1 incrementa la secrezione degli inibitori tissutali delle metalloproteinasi, i quali innalzano la tensione meccanica del tessuto connettivo (110), e induce i proto-miofibroblasti a produrre alfa-SMA (114) e a creare giunzioni ancoranti cellula-MEC particolarmente forti dette fibronexus. Quando la rigidità della MEC sale oltre i 20kPa, l’alfa-SMA e i filamenti di beta-actina citoplasmatica si avvolgono assieme e creano la struttura citoscheletrica tipica dei miofibroblasti (80, 108, 113, 115, 120).

Mentre i muscoli producono “contrazioni” che sono veloci ma dispendiose energeticamente, i miofibroblasti stimolano “contratture” che sono lente – impiegano 30 minuti per raggiungere la loro massima intensità –, meno costose energeticamente, e in grado di rimodellare la MEC (113). Svariati fattori chimici, fra cui il pH, possono indurre la produzione di queste contratture da parte dei miofibroblasti: un ambiente acido incrementa la loro responsività, sia nel contrarsi sia nel rilassarsi (121). I miofibroblasti sembrano indipendenti dal sistema nervoso (112): sembra infatti che siano stimolati a contrarsi da stimoli meccanici e da svariate molecole, ma non da segnali elettrici. L’acetilcolina, l’adrenalina e l’adenosina non hanno effetto sui miofibroblasti umani (121); l’istamina e l’ossitocina possono indurre brevi contratture, l’ossido nitrico (NO) li fa rilassare, e la mepiramina, un anti-istaminico di prima generazione, causa contratture lente e sostenute per circa 2 ore (112).

Nonostante le contratture possano essere indotte sia dall’istamina sia da anti-istaminici, la loro durata ed intensità è differente, così come il risultato. Nel caso delle lesioni tissutali, ad esempio, l’istamina favorisce la produzione di collagene e alfa-SMA tramite vie di segnalazione tramite mastociti, fibroblasti e miofibroblasti – la guarigione tissutale migliora (122, 123). Le terapie manuali che facilitano la guarigione tissutale possono infatti indurre i mastociti a degranulare molte molecole, fra cui l’istamina (124). Al contrario, diverse classi di farmaci anti-infiammatori, fra cui gli anti-istaminici, hanno effetti deleteri sulla riparazione tissutale, in particolare in caso di lesioni che coinvolgono tendini e legamenti (85).

Siccome i miofibroblasti sono “fibroblasti attivati”, appaiono soprattutto durante la riparazione tissutale (80), un processo che può seguire due differenti percorsi:

  1. un percorso fisiologico: ogniqualvolta la MEC è secreta, rimodellata, vascolarizzata e la ferita è guarita, i miofibroblasti vanno in apoptosi. Le contratture sono mantenute da un denso reticolo di collagene che sostituisce i filamenti di alfa-SMA – la MEC diventa più robusta (113);
  2. un percorso patologico: i miofibroblasti sopravvivono e continuano a produrre MEC e contratture. Una forte infiammazione può quindi manifestarsi, diventare cronica e causare fibrosi: ciò porta ad un’ampia e ipertrofica cicatrizzazione dei tessuti che perdono la loro funzionalità (80, 125). Esempi di fibrosi sono la sindrome di Dupuytren e la sclerodermia, oltre alle classiche che colpiscono gli organi polmonari, renali, cardiaci ed epatici (108, 110).

In quest’ultimo caso, l’infiammazione induce anche un forte stress meccanico – ad esempio, un continuo e stabile flusso di fluidi – che attiva i miofibroblasti e previene la loro apoptosi (120, 126). Più forte è lo stress, più severe sono le contratture causate dai miofibroblasti sulla MEC, e più rigida è la MEC, più intensa è la produzione di contratture da parte dei miofibroblasti (115), e un trattamento corretto dovrebbe agire sia regolando l’infiammazione sia riducendo la tensione meccanica (108). Ad esempio, è stato mostrato che steccare una ferita incrementa il tessuto granulomatoso creato dai miofibroblasti, mentre rimuovere la steccatura induce la scomparsa di quel tessuto e l’apoptosi delle sue cellule (127).

I miofibroblasti possono anche derivare da cellule diverse dai fibroblasti, specialmente se di origine mesenchimale (115) (Figura 2). Tramite l’EMT, cellule muscolari lisce, periciti, fibrociti del midollo osseo, cellule di Kupffer, cellule renali mesangiali cellule emopoietiche e altre cellule possono perdere il loro fenotipo e diventare miofibroblasti (32, 99, 108, 110, 128). Dato che l’EMT è facilitata da stimoli meccanici, citochine pro-infiammatorie e pH extracellulare acido, così come da altri stimoli quali l’iperglicemia e interventi chirurgici (102, 108, 109), agire su queste variabili potrebbe riportare i miofibroblasti al loro fenotipo originario.

Infatti, anche se i miofibroblasti sono solitamente considerati incapaci di cambiare il loro fenotipo, alcuni autori hanno mostrato che possono perdere l’alfa-SMA e “recuperare” il loro fenotipo originario, sia epiteliale o mesenchimale (115, 129, 130) (Figura 2). Un possibile metodo potrebbe indurre il recettore nucleare anti-infiammatorio PPAR-gamma (129) tramite, ad esempio, restrizione calorica, attività fisica, antiossidanti come il resveratrolo, probiotici e un sano microbiota (131). In particolare, antiossidanti come la capsaicina (il composto bioattivo del peperoncino), l’estratto di semi d’uva (GSE) e la superossido dismutasi (SOD) possono in effetti indurre la de-differenziazione dei miofibroblasti: la SOD down-regola l’espressione del TGF-beta1, mentre la capsaicina e il GSE riducono l’infiammazione indotta da COX-2 e NF-kappaB. La capsaicina inoltre up-regola il PPAR-gamma (129, 132). Altri antiossidanti come i sulforafani, il composto bioattivo delle crucifere, possono de-differenziare i miofibroblasti attraverso l’attivazione del fattore di trascrizione Nrf2 (129).

Anche le terapie manuali potrebbero aiutare a far regredire i miofibroblasti: una stimolazione manuale moderata (20-30% del carico massimo) applicata ad una cicatrice si è dimostrata in grado di diminuire il TGF-beta1 e la produzione di collagene (125). Una simulazione in vitro di un trattamento di medicina manuale ha mostrato di incrementare il TGF-beta3 rispetto al TGF-beta1 (133): Il TGF-beta3 riduce la produzione del TGF-beta1 e promuove la guarigione delle ferite (134). Inoltre, molti studi hanno mostrano che le terapie manuali e mente-corpo possono aumentare il tono vagale (25), il quale regola l’infiammazione, e rimodellare la fascia (135) tramite vie meccano-trasduttive come le integrine (136), anche in caso di adesioni, fibrosi fasciali e sclerodermia (137, 138).

  1. GLI EFFETTI ACUTI E CRONICI DELLO STRESS E DELL’IMMUNITÀ SU FASCIA, MUSCOLI E OSSA

In caso di stress acuto, le modifiche della struttura corporea puntano a fronteggiare lo stressor attuale e stimolare l’adattamento (139, 140).

In caso di stress cronico, questo adattamento potrebbe diventare altamente dispendioso per il sistema fasciale, in quanto lo stress cronico è spesso accompagnato dall’infiammazione cronica (7, 8) e il sistema immunitario agisce principalmente nel tessuto connettivo (80). Fibroblasti, miofibroblasti, adipociti, mastociti, linfociti e cellule vascolari possono rilasciare citochine pro-infiammatorie come l’IL-1, l’IL-6 e il TNF-alfa, che incrementano la produzione di MMP, proteasi e specie reattive dell’ossigeno (ROS) (92, 141, 142). Possiamo riassumere gli effetti sul corpo in due casi diversi:

  1. le citochine e gli enzimi possono frammentare la rete della MEC, indebolendo così il tessuto connettivo (141). I prolassi e la permeabilità tissutale possono quindi emergere in quanto le fibre diventano incapaci di sopportare il peso degli organi e la barriera epiteliale viene danneggiata (143, 144). La facilitazione della crescita e dell’infiltrazione tissutale microbica e neoplastica può essere un altro effetto indesiderato (81);
  2. le componenti della MEC secrete in quantità eccessiva dalle cellule riempiono sempre più spazio, sostituendo il tessuto locale (epiteliale, muscolare e nervoso) con fibre connettive e inducendo fibrosi (32, 108, 110).

Questi effetti possono derivare da un incremento sostenuto delle citochine di solo due-tre volte il loro normale valore – definito “infiammazione cronica di basso grado” (LGCI). Al contrario dell’infiammazione acuta, che mostra un rapido incremento delle citochine di 100 volte, la LGCI impiega tempo per alterare le funzioni organiche e provocare sintomi, e quando questi si manifestano, l’infiammazione stava già agendo da lungo tempo (144). La LGCI può essere evitata o limitata tramite uno stile di vita basato su una sana nutrizione e un’adeguata attività fisica; questi due fattori potrebbero contribuire alla LGCI più di ogni altra cosa – il consumo di cibi ad alto carico glicemico e fare attività fisica oltre le proprie capacità, ad esempio, sono riconosciuti come fortemente pro-infiammatori (145, 146).

Oltre all’infiammazione, gli ormoni dello stress influenzano fortemente la MEC e lo stato del sistema fasciale, dei muscoli e delle ossa (9, 142).

5.1. Gli effetti acuti e cronici del cortisolo su fascia, muscoli e ossa

In caso di stress acuto, il cortisolo attiva l’immunità di tipo 2 con effetti anti-infiammatori e coopera perfettamente con gli stimoli meccanici nel rimodellare i muscoli e le ossa per assicurarsi che questi tessuti possano adattarsi agli stimoli quotidiani e diventare più forti. Da un lato, i glucocorticoidi aumentano la degradazione proteica nei muscoli, attivano gli osteoclasti nelle ossa e riducono il flusso di sangue e acqua attraverso i canalicoli ossei. Dall’altro lato, gli stimoli meccanici inducono contrazioni muscolari che migliorano questo stesso flusso nelle ossa, modulano l’attività degli osteoclasti e favoriscono la secrezione di nuova massa ossea da parte degli osteociti (139, 140, 147). Inoltre, anche se il cortisolo riduce l’assorbimento intestinale del calcio e aumenta la sua escrezione renale, le ghiandole paratiroidi secernono l’ormone paratiroideo (PTH) per incrementare la produzione di vitamina D, la quale aumenta l’assorbimento di calcio e fosforo. In modo da evitare l’iperfosfatemia – pericolosa per cervello e cuore – le ossa secernono il fattore di crescita dei fibroblasti 23 (FGF23) che aumenta l’escrezione renale del fosforo (140).

In caso di stress cronico, l’eccesso di cortisolo inibisce la via di segnalazione genica WNT, la quale è fondamentale per lo sviluppo osseo, e aumenta la produzione di FGF23, il che può portare a malattie renali e cardiovascolari, atrofia del timo, astenia e alterazione dello stato mentale (140). L’eccesso di cortisolo stimola una forte infiammazione e l’immunità di tipo 3 che attiva fortemente gli osteoclasti – che sono macrofagi (148) – tramite la produzione di IL-17, aumentando così il rischio di fratture ossee ed osteoporosi (149). L’eccesso di cortisolo previene anche che le ossa producano osteocalcina – un ormone che influenza l’interno l’organismo. Infatti, l’osteocalcina (i) aumenta il numero e la grandezza delle cellule pancreatiche e facilita la secrezione di insulina; (ii) induce il tessuto adiposo a rilasciare adiponectina anti-infiammatoria e migliora l’insulino-sensitività e il metabolismo energetico; (iii) induce i testicoli a produrre testosterone; (iv) stimola il cervello a produrre monoanime per proteggere dall’ansia e dalla depressione e migliora le capacità di apprendimento e la memoria (150). Dopo che l’organismo riconosce un pericolo improvviso, l’osteocalcina può addirittura attivare la risposta di stress attacco-o-fuga in caso di insufficienza surrenale (151)!

Anche la LGCI, l’iperglicemia e l’obesità possono ridurre la secrezione di osteocalcina (152). Fortunatamente, la vitamina D, il calcio e soprattutto la vitamina K ne aumentano la produzione e l’attivazione (153). Ci sono due forme principali di vitamina K, ossia il fillochinone (K1) e il menachinone (K2), e sembra che la K2 abbia un effetto protettore sulle ossa maggiore rispetto alla K1 (153). Buone fonti di vitamina K1 sono le verdure a foglie verdi e le crucifere, mentre buone fonti di K2 sono il tuorlo d’uovo, i cibi fermentati (crauti, formaggio, fagioli di soia fermentati), un buon microbiota, fegato e burro (153).

In caso di stress cronico, il cortisolo induce i muscoli a produrre miostatina che degrada le proteine e causa l’atrofia delle fibre veloci di tipo IIx, le quali permettono la potenza muscolare (139). Il cortisolo può anche causare l’atrofia dei tendini in quanto è un ormone catabolico. Infatti, la produzione cronica di cortisolo up-regola l’espressione delle MMP nei fibroblasti, facilita la degradazione della MEC e riduce la concentrazione di importanti fattori di crescita – le MMP possono clivare questi fattori di crescita. Dato che le MMP sono pro-infiammatorie, il cortisolo può modificare pesantemente il tessuto connettivo dentro gli organi e alterano le funzioni organiche (154, 155). Ad esempio, in molti casi, la cosiddetta tendinite è una tendinosi con poco infiltrato infiammatorio e collagene molto degradato. Pertanto, l’esercizio terapeutico – in particolare, carichi eccentrici –, il riposo relativo e la correzione della postura possono aiutare a gestire meglio queste tendinopatie rispetto a glucocorticoidi iniettati localmente, i quali possono peggiorare la situazione (156, 157).

Infine, il cortisolo causa la crescita degli adipociti, con conseguente accumulo di grasso viscerale ed intramuscolare che altera il funzionamento degli organi coinvolti e porta verso la LGCI (158).

5.2. Gli effetti acuti e cronici dell’adrenalina e della noradrenalina sulla fascia

In caso di stress cronico, le catecolamine hanno effetti deleteri sulla struttura corporea. L’eccesso di noradrenalina a causa di un alto tono ortosimpatico stimola i macrofagi a produrre ROS, soprattutto perossido tramite la NADPH-ossidasi (142, 159). Inoltre down-regola i recettori adrenergici beta-2 (79), induce la differenziazione delle cellule immunitarie Th17 (63) e incrementa la secrezione delle MMP (160), tutti effetti che conducono ad un aumento di TGF-beta1. ROS e TGF-beta1 possono causare danni tissutali ed indurre i fibroblasti a differenziarsi in miofibroblasti (116). Dato che queste cellule non sono sotto la diretta influenza del sistema nervoso, TGF-beta1, ROS e MMP potrebbero costituire il link fra l’SNS e i miofibroblasti (113, 118, 160, 161).

In caso di stress acuto, il rilascio di ROS, MMP e TGF-beta1 è estremamente utile: queste molecole sostengono la guarigione tissutale e proteggono dalle infezioni (96). Ma il rimodellamento del tessuto connettivo e l’apparizione dei miofibroblasti indotti dall’attività cronica del SNS possono causare fibrosi, aderenze tissutali e cicatrici, le quali diventano sempre più grandi e rigide a causa delle contratture dei miofibroblasti (113, 118). Queste tensioni meccaniche possono raggiungere i nuclei cellulari, dove alterano l’espressione di diversi geni, cambiano la biochimica cellulare e incrementano la produzione di citochine pro-infiammatorie e fattori di crescita, i quali possono predisporre alla proliferazione neoplastica (113).

Il processo di guarigione tissutale è un esempio perfetto per capire i differenti effetti delle catecolamine in caso di stress acuto o cronico. Di solito, l’adrenalina rallenta l’attività delle cellule epiteliali e induce i fibroblasti a proliferare, migrare verso l’area lesa, cambiare il loro citoscheletro e secernere collagene per guarire la lesione. Quando la risposta è conclusa, la diminuzione dell’adrenalina spegne i fibroblasti e permette alle cellule epiteliali di completare la guarigione della ferita (162). In caso di stress cronico, l’eccesso di adrenalina blocca la migrazione delle cellule epiteliali verso l’area lesa e altera la produzione di collagene da parte dei fibroblasti tramite i recettori beta-adrenergici. L’eccesso di adrenalina può sia inibire la crescita dei fibroblasti sia indurre la differenziazione di miofibroblasti che causano forti contratture nei tessuti circostanti la lesione, compromettendo così il processo di guarigione della ferita (163, 164).

5.3. Le interazioni fra l’asse HPA, gli ormoni sessuali e la fascia

Dato che una crescente letteratura sta mostrando la presenza di recettori per gli ormoni sessuali nel sistema miofasciale – possiamo trovare recettori per gli estrogeni nei sinoviociti, nei fibroblasti del legamento crociato anteriore e nelle cellule delle pareti dei vasi sanguigni di questo legamento (165–167) – abbiamo scelto di dedicare un paragrafo alla loro interazione con la fascia.

In vitro, dosi fisiologiche di estradiolo riducono per più del 40% la sintesi di collagene e la proliferazione di fibroblasti nel legamento crociato anteriore. L’estradiolo inibisce la sintesi di collagene indotta dall’attività fisica attraverso la riduzione del fattore di crescita insulino-simile 1 (165). Durante la fase follicolare del ciclo mestruale, gli estrogeni modificano la struttura del collagene e inducono un aumento nella lassità legamentosa. Questi ormoni stimolano anche i fibroblasti a produrre collagenasi, un enzima che degrada il collagene e facilita il prolasso degli organi e la rottura legamentosa in caso di eccessiva esposizione agli estrogeni (166). Pertanto, medici e terapeuti devono valutare bene se le loro pazienti con dolore cronico sono sotto terapia ormonale, considerando anche le pillole contraccettive – la loro assunzione è stata associata a un alto rischio di dolore cronico, fratture ossee, dolore pelvico persistente e instabilità articolare pelvica (167).

Gli androgeni possono stimolare i leucociti a produrre TNF-alfa, il quale induce i fibroblasti a rallentare la guarigione delle lesioni e la deposizione di collagene. Ma gli androgeni sembrano indurre la migrazione delle cellule epiteliali (specialmente cheratinociti) verso il sito della lesione, come a cercare di ri-epiteliarizzare la ferita prima che il tessuto connettivo sottostante sia stato riparato. Potremmo dire che gli androgeni facilitano la guarigione di una ferita dall’esterno verso l’interno – le mucose interne sembrano venir guarite meglio dagli androgeni rispetto agli estrogeni, forse perché sono particolarmente vascolarizzate (168, 169). Come complemento agli androgeni, gli estrogeni velocizzano la guarigione del tessuto connettivo in caso di lesioni cutanee, e inoltre diminuiscono l’infiammazione e migliorano i sintomi di malattie quali psoriasi o melanoma (170). Tuttavia, gli estrogeni – e il progesterone – inducono la produzione di citochine di tipo 2 (171): in caso di eccessiva produzione o stimoli esterni quali le pillole contraccettive, gli estrogeni potrebbero quindi favorire la LGCI.

Forse per questa ragione, gli estrogeni sono correlati con la cellulite, la quale è un fenomeno tipicamente femminile, benché possa manifestarsi anche negli uomini con bassi o nulli livelli di androgeni, e può essere legata all’infiammazione (172, 173). Infatti, la cellulite sembra manifestarsi quando gli estrogeni aumentano più del progesterone, cosa che accade naturalmente durante la pubertà, la gravidanza e la menopausa, e forzatamente in caso di pillole contraccettive o terapia ormonale sostitutiva (172). Gli estrogeni incrementano le MMP, i cui effetti fisiologici sul collagene costituiscono l’origine della cellulite secondo alcuni autori (174). Che un certo livello di cellulite possa essere naturale e benefico è supportato dall’evidenza che appare soprattutto nei tessuti adiposi tipicamente femminili, in particolare quelli gluteofemorali, i quali funzionano come una riserva durante la gravidanza e l’allattamento per fornire energia, steroidi, etc. Pertanto, nonostante non tutte le donne abbiano la cellulite, essa potrebbe rappresentare un’importante riserva (174).

La cellulite diventa un problema quando la salute dell’organismo cambia (173): l’infiammazione e lo stress possono infatti influenzare pesantemente la cellulite tramite le MMP (173, 174). Inoltre, mentre il tessuto adiposo superficiale (SAT) gluteofemorale mostra normalmente un’alta produzione della benefica adiponectina (175), questo stesso tessuto esprime bassi livelli di adiponectina in caso di grandi quantità di cellulite (176). Il SAT gluteofemorale affetto dalla cellulite mostra danni al sistema vascolare a causa di un’alta pressione, la quale è sia alta pressione sanguigna a causa di aumentati livelli di angiotensina II sia alta tensione meccanica dovuta alla crescita degli adipociti (173). Tutto questo comporta ritenzione di GAG e acqua, ipossia tissutale, perdita di fibre elastiche (177) e aumentata infiammazione (176).

Inoltre, gli estrogeni incrementano la reattività dell’asse HPA: dato che la risposta di stress può aumentare la steroidogenesi, potrebbe verificarsi un circolo vizioso fra problemi psicosociali e alterazioni tissutali (178). In questo caso, la secrezione della prolattina potrebbe avere un ruolo particolare (177) in quanto la cellulite è legata ad alti livelli di infiammazione e ad una grande quantità di tessuto adiposo, che possono entrambi essere indotti dalla prolattina (177, 179). La prolattina permette l’allattamento al seno ed è rilasciata in grandi quantità durante l’organismo, ma aumenta anche in combinazione con vari stressor psicosociali quali rabbia associata all’umiliazione, lutti, neglect, isolamento sociale o il sentire di doversi prendere cura di persone lasciate sole (es. bambini piccoli che hanno perso i loro genitori) (180). Pertanto, ridurre il carico di questi stressor potrebbe aiutare a risolvere la cellulite. Nonostante, per quanto ne sappiamo, nessuna ricerca abbia investigato l’associazione fra stress psicosociale e cellulite, queste correlazioni dovrebbero essere valutate in un paradigma complesso come la PNEI.

5.4. Le interazioni fra le cellule immunitarie e il tessuto connettivo

Per mostrare come le cellule immunitarie possano influenzare la fascia, questa sezione descrive il comportamento di alcune specifiche cellule bianche – macrofagi, neutrofili e mastociti – durante le risposte acute e croniche e la loro interazione con la MEC.

I macrofagi bilanciano l’equilibrio fra guarigione delle ferite e fibrosi e regolano l’infiammazione influenzando il comportamento dei fibroblasti, delle cellule epiteliali (es. mucose e cutanee) e bianche (181). Essi possono circolare (monociti) o risiedere nei tessuti (macrofagi veri e propri): dato che regolano l’integrità e la crescita delle cellule e dei vasi sanguigni, la loro assenza nei tessuti può causare problemi seri nella crescita organica. È interessante notare che cellule come gli osteoclasti e la microglia sono macrofagi (148).

I macrofagi mostrano due fenotipi che possono legarsi alle quattro risposte immunitarie, nonostante rappresentino solamente i due estremi in un continuum di diversi fenotipi con caratteristiche intermedie (148, 181, 182).

  1. il primo fenotipo (M1) è associato con l’immunità di tipo 1 e 3. I macrofagi M1 stimolano i fibroblasti a trasformarsi in miofibroblasti e inducono la contrazione delle ferite e la produzione di collagene. Essi favoriscono la sopravvivenza dei miofibroblasti attraverso la secrezione del TGF-beta e attivano il fattore di trascrizione pro-infiammatorio NF-kappaB. I macrofagi M1 secernono molecole antimicrobiche come prima linea di difesa contro le infezioni e reclutano altre cellule bianche;
  2. il secondo fenotipo (M2) è associato alle immunità di tipo 2 e regolatoria. I macrofagi M2 promuovono la risoluzione dell’infiammazione e la guarigione tissutale tramite l’apoptosi dei leucociti e citochine anti-infiammatorie quali l’IL-10, che regola la secrezione delle MMP, riduce la produzione della MEC e permette la rimozione del tessuto connettivo in eccesso. I macrofagi M2 competono inoltre per il nutrimento (es. arginina) contro le cellule bianche e i miofibroblasti, riducendo così l’attività di questi ultimi.

Questi due fenotipi possono auto-regolarsi: ad esempio, le cellule Kupffer M1 (i macrofagi epatici) infettati da microbi già neutralizzati vanno in apoptosi e rilasciano IL-33 e IL-4, le quali polarizzano i macrofagi circostanti verso il fenotipo M2. Il risultato è una buona guarigione dei tessuti epatici (181). Nonostante gli M1 facilitino la fibrosi tissutale, in un organismo in salute gli M1 sono regolati dagli M2, e quindi i tessuti possono guarire (148, 181). Al contrario, quando un organismo mostra un asse HPA iperattivo, un elevato tono ortosimpatico e la LGCI, entrambi i macrofagi M1 e M2 reclutano altri leucociti – in particolare, Thelper e ILC – e favoriscono fibrosi: l’IL-13 e il TGF-beta secreti dagli M2 stimolano la produzione di MMP e attivano i miofibroblasti (181).

La polarizzazione M1/M2 dipende dall’ambiente circostante: può essere indotta sia da stimoli chimici (e. citochine, fattori di crescita e ormoni) sia da stimoli meccanici (182, 183). Tutte le cellule bianche sono meccano-sensibili, e i macrofagi non sono eccezioni: se la MEC è sotto una tensione normale, i macrofagi assumono una forma allungata dove l’actina è più dispersa alla periferia cellulare così che avvenga la polarizzazione M2 anti-infiammatoria. Ogni volta che la fascia è sotto una tensione alta (es. rigidità dovuta a contratture dei miofibroblasti, fibrosi), i macrofagi assumono una forma dove la F-actina si accumula attorno ai nuclei, così che avvenga la polarizzazione M1 – la rigidità facilita l’attaccamento e la diffusione dei macrofagi. Tuttavia, se i macrofagi vengono allungati da cellule circostanti, possono spostarsi verso il fenotipo M2 (183). Pertanto, come con i miofibroblasti, regolare l’infiammazione e la tensione meccanica diventa fondamentale.

I neutrofili rappresentano la popolazione leucocitaria maggiore e la prima a raggiungere i tessuti lesi, dove attiva e sostiene l’infiammazione (65). I neutrofili sono costantemente prodotti dal midollo osseo e, in caso di infiammazione cronica, possono diventare i maggiori regolatori delle risposte immunitarie innate e adattive (65, 184). I neutrofili fagocitano gli scarti, degranulano molecole antimicrobiche e rilasciano oppioidi nei tessuti lesi inducendo un effetto analgesico (185). Come i macrofagi, i neutrofili mostrano due fenotipi – ossia l’N1 pro-infiammatorio e l’N2 anti-infiammatorio – e reclutano i linfociti tramite il rilascio di citochine, alarmine e DNA cellulare. I neutrofili possono anche ridurre i danni tissutali catturando le molecole chiamate “profili molecolari associati al pericolo” (es. acido urico) attraverso il rilascio di “trappole extracellulari dei neutrofili” (NET) (185).

Le NET sono miscugli di cromatina decondensata legati a DNA, istoni, peptidi antimicrobici granulari ed enzimi quali catepsine e elastasi, i quali bloccano e distruggono i patogeni (185). Quando prodotte in eccesso, le NET possono causare condizioni come trombosi, arteriosclerosi e malattie autoimmuni in quanto contengono sostanze infiammatorie e auto-antigeniche come il DNA cellulare libero (186). Infatti, molte patologie autoimmuni che influenzano il tessuto connettivo – es. artrite reumatoide, lupus, vasculite e dermatite – mostrano un’alta attività neutrofila (184, 185, 187). Una ragione possibile che spiega il coinvolgimento del tessuto connettivo in simili patologie è il fatto che i neutrofili rilasciano le NET dopo le lesioni e i traumi tissutali – anche di natura chirurgica (186).

I segnali inducenti le NET includono i ROS, le citochine e le molecole secrete dalle cellule epiteliali attivate, le quali con facilità rilasciano fattori pro-infiammatori e interagiscono con i leucociti – teniamo a mente che le cellule epiteliali attivate possono diventare miofibroblasti (186). Pertanto, la risposta di stress può pesantemente influenzare il comportamento dei neutrofili. Infatti, uno stress fisico quale un esercizio moderato può aiutare a controllare l’attività dei neutrofili in quanto rilascia la DNasi, un enzima che riduce la concentrazione di DNA libero – regola sia la formazione sia la degradazione delle NET e riduce il rischio di trombosi (188). Al contrario, un’intensa attività fisica rilascia una grande quantità di ROS, con un conseguente incremento dell’infiltrazione tissutale dei neutrofili, dell’infiammazione e della percezione di dolore (188). Regolare l’attività neutrofila dovrebbe essere di primaria importanza in quanto i neutrofili possono anche risolvere l’infiammazione, stimolare la rivascolarizzazione e limitare le fibrosi secernendo il recettore-alfa per l’IL-1, il TGF-beta e specifici lipidi che derivano principalmente dagli acidi grassi omega-3 – questi lipidi inibiscono l’afflusso dei neutrofili e polarizzano le cellule immunitarie verso un fenotipo anti-infiammatorio (184, 185, 189, 190).

I mastociti sono fortemente influenzati dalla risposta di stress e appaiono in grande quantità nel tessuto connettivo (80). I mastociti possono provocare una risposta infiammatoria rapida a causa delle molecole pro-infiammatorie pronte ad essere rilasciate che contengono, ossia istamina, serotonina, IL-1, IL-6, TNF-alfa, IFN-gamma, TGF-beta, proteasi, prostaglandine, leucotrieni, fattori di crescita, NO, eparina, adenosin-trifosfato e peptide correlato al gene della calcitonina (191). I mastociti possono essere attivati da molti stimoli, in particolari, da stress meccanici e psicosociali: una MEC rigida e fibrotica induce i mastociti a degranulare e proliferare (192), mentre uno stress emotivo induce i mastociti a incrementare l’infiammazione e i sintomi di condizioni allergiche come l’asma (193, 194). I mastociti fanno parte del sottosistema immunitario di tipo 2, il quale può essere attivato dai glucocorticoidi e dalle catecolamine (195) e, in caso di pericolo, da segnali chimici derivanti dalle fibre nervose afferenti (es. in caso di ferite ed infezioni) – si tratta dell’“infiammazione neurogena” (196).

I mastociti del tessuto connettivo sono diversi dagli altri mastociti in quanto contengono sia triptasi sia chimasi (80). Mentre le triptasi stimolano i fibroblasti a produrre più proteine e reclutano neutrofili e basofili, le chimasi convertono l’angiotensina I in angiotensina II favorendo l’ipertensione, hanno effetti anti-parassitari e degradano diversi fattori di crescita (141). Sia le triptasi sia le chimasi degradano la MEC per rimodellarla (141) – ad esempio, gli esercizi di riscaldamento aumentano la temperatura, attivano il metabolismo muscolare e favoriscono il rilascio di triptasi e chimasi per ammorbidire il sistema miofasciale e facilitare lo sforzo fisico. Questi enzimi possono anche clivare molecole pro-infiammatorie (es. citochine, sostanza P ed endotelina I), diminuendo così l’infiammazione: i mastociti possono infatti ridurre l’infiltrazione tissutale dei neutrofili attraverso il rilascio di eparina ed istamina (141).

Un’attivazione cronica dei mastociti può rendere la fascia fragile e permeabile tramite il rilascio delle MMP, ma può anche indurre i fibroblasti a trasformarsi in miofibroblasti, facilitando così le fibrosi (122, 197, 198). Tuttavia, senza i mastociti, il sistema immunitario non potrebbe montare una pronta reazione contro infezioni e veleni (141). Una nutrizione equilibrata e un sano microbiota intestinale aiutano molto a sfruttare ottimamente l’attività dei mastociti, in quanto possono entrambi regolano la degranulazione dei mastociti: gli antiossidanti e i microbi commensali possono proteggere da ROS, veleni e patogeni senza attivare una risposta infiammatoria, pertanto lasciando che i mastociti de granulino solo quando serve veramente (199, 200).

5.5. Riassunto degli effetti dello stress e dell’immunità sulla struttura corporea

I glucocorticoidi e le catecolamine possono influenzare diversamente il tessuto connettivo, i muscoli e le ossa. I loro effetti possono essere diretti o mediati da molecole quali citochine, MMP e ROS o dal reclutamento di cellule immunitarie quali linfociti T, macrofagi, neutrofili e mastociti. In tutti questi casi, un organismo induce la produzione di glucocorticoidi e catecolamine e attiva le cellule immunitarie quando si adopera per far fronte all’ambiente. Pertanto, queste molecole hanno uno scopo e aiutano l’organismo a rimanere in salute e a diventare più forte (es. il corpo guadagna forza e salute dopo un buon allentamento fisico) (146).

Tuttavia, la durata della risposta di stress e dell’attività immunitaria può avere effetti deleteri sui tessuti: nel cronico, lo stress e l’infiammazione possono indurre atrofia muscolare e tendinea, fibrosi nel tessuto connettivo e negli organi, osteoporosi e fratture ossee, oltre ad aumentare la ritenzione di fluidi, l’infiammazione stessa (es. cellulite) e a facilitare la crescita degli adipociti. Questi effetti possono avere conseguenze sistemiche in quanto possono influenzare la produzione di molte molecole di segnale – ad esempio, l’osteoporosi si correla ad una ridotta produzione di osteocalcina (150), gli adipociti possono indurre ipertensione (158) e le MMP possono ridurre i fattori di crescita (155) – e così minacciare un buono stato di salute.

Pertanto, strategie che limitino gli effetti deleteri di stress ed infiammazione cronici – in particolare, dieta anti-infiammatoria, corretta attività fisica, buona igiene del sonno, supporto sociale e riduzione dello stress – sono fondamentali per regolare al meglio l’interazione fra questi sistemi (3, 7).

  1. CONCLUSIONI E IMPLICAZIONI PER LE TERAPIE CORPOREE

Il presente articolo ha descritto come la risposta di stress e le conseguenti attivazioni nervose, endocrine ed immunitarie possano modificare la struttura corporea – il sistema miofasciale e le ossa – e come la struttura corporea (es. le caratteristiche meccaniche della MEC) possa influenzare quelle stesse attivazioni. L’analisi svolta si è fondata su un approccio sistemico, ossia il paradigma PNEI, e ha puntato a incoraggiare la ricerca in questo campo complesso, in particolare, nel campo delle terapie manuali e del movimento.

Articoli simili a questo possono aiutare i terapeuti manuali a capire meglio la loro pratica, come mostrato dai seguenti esempi. Durante la palpazione manuale di una cicatrice, i terapeuti sentono spesso un rilassamento, un’espansione e un “respiro” tissutale, e i miofibroblasti di solito manifestano contratture ritmiche ogni 99 secondi. – curiosamente, tale ritmo concorda con il tempo di 100 secondi definito come “respiro vitale” o “lunga marea” da Sutherland in campo osteopatico (118). Questo ritmo è dovuto ad oscillazioni di Ca2+ intracellulare e aumenta in caso di infiammazione: pertanto, i miofibroblasti producono contratture più rapide durante l’infiammazione (201). Ma uno stimolo manuale potrebbe invertire questa accelerazione tramite il rilassamento delle giunzioni aderenti fra i miofibroblasti (e probabilmente tramite la riduzione dell’infiammazione) (25), ripristinando così un ritmo più lento – questo cambiamento potrebbe essere sentito come “rilascio tissutale” (118).

Una conoscenza approfondita del tessuto connettivo può anche assistere nel selezionare le forze e i carichi fisici più appropriati da applicare per recuperare la corretta struttura collagenica dopo una lesione: carichi diversi inducono infatti la produzione di diversi tipi di collagene. In maniera simile, conoscere i meccanismi tramite cui la guarigione di una ferita è influenzata dallo stato di salute, dalla risposta di stress, dall’infiammazione e dalle terapie manuali può essere utile per i terapeuti per comprendere quali procedure potrebbero ottenere il miglior risultato. Queste informazioni potrebbero anche aiutare i chirurghi, migliorare la medicina estetica e promuovere la medicina integrata nel contesto della medicina preventiva e nella gestione di pazienti affetti da patologie muscolo-scheletriche croniche.

Conoscere la relazione fra stress, immunità e fascia aiuta a capire che il risultato delle terapie mediche e manuali può essere potenziato o indebolito dalle esperienze di vita di una persona: ogni effetto benefico dei trattamenti medici e manuali può essere annullato da avversità psicosociali e stile di vita (es. sedentarietà, nutrizione ad alto indice e carico glicemico) che scatenano una forte infiammazione. Benché le terapie manuali possano avere effetti sistemici – possono ridurre il cortisolo, l’attivazione del SNS e l’infiammazione, aumentare la secrezione di ossitocina e il tono vagale e rimodellare il collagene (11, 25, 29–31, 202) – rimangono un evento isolato nella vita quotidiana che deve essere integrato con altri interventi come l’educazione del paziente, l’esercizio fisico, cambiamenti nello stile di vita e terapie psicologiche (come mostrato dalle raccomandazioni in caso di lombalgia cronica) (203).

Il dolore in se stesso, come percezione, non dipende strettamente da alterazioni strutturali locali ma origina da elaborazioni cerebrali di ogni informazione endogena ed esogena, il cui risultato influenza l’organismo tramite vie nervose, immunitarie ed endocrine (10, 202, 204). Infiammazione, emozioni, credenze, aspettative riguardanti il dolore e i movimenti corporei, e stile di vita possono fortemente impattare sul dolore, e conoscere la loro influenza può aiutare i pazienti nel far fronte al dolore (202, 205).

Molti medici e terapeuti manuali spesso trattano l’area dolorante o altre strutture corporee che le sono fisicamente connesse, ma ciò può essere dannoso in caso manchi una lesione reale, in quanto può rinforzare la credenza che una lesione esista, e conseguentemente innalzare la paura del paziente e il suo evitare movimenti salutari (205). Medici e terapeuti manuali dovrebbero valutare ogni possibile lesione strutturale e agire di conseguenza, ma dovrebbero anche dedicarsi ai bisogni psicosociali dei pazienti (1, 206). Dato che il dolore è una risposta centrale al pericolo psicofisico (10), l’organismo può continuare a produrre dolore fintantoché rileva una minaccia – ferite fisiche, cattiva digestione, tossine ambientali, infiammazione, poco sonno, solitudine, bassa autostima, paura, basso stato socioeconomico, e così via. Solo considerando tutti questi fattori, il dolore può essere gestito – il nostro obiettivo dovrebbe essere capire perché l’organismo ritiene di aver bisogno del dolore, e trovare strategie per supportare la persona nella vita quotidiana (10, 204, 205).

Ad esempio, dato che lo stress psicosociale può indurre alterazioni fasciali e alterare le risposte immunitarie, una terapia che ignori la gestione dello stress potrebbe non risolvere mai le alterazioni fasciali. Gli effetti organici dello stress possono essere contrastati da interventi farmacologici, chirurgici o altro, tuttavia, ciò non risolverebbe la causa primaria – lo stress – mettendo la persona a rischio di sviluppare altre patologie. Infatti, fintantoché rileva una minaccia alla sua integrità, l’organismo può continuamente e senza sosta attivare la risposta di stress (1, 18, 206–209). Questo ragionamento vale per ogni condizione di salute (1, 18, 206) e può farci capire meglio cosa accade dentro i nostri pazienti, perché a volte niente sembra alleviare il loro dolore o la loro condizione (205, 206).

Serve quindi più ricerca per mostrare le relazioni fra sistemi organici, fra un organismo e il suo ambiente, e soprattutto per definire un razionale forte per la pratica clinica. Troppo spesso siamo obbligati ad affidarci a ipotesi deboli per spiegare cosa sta succedendo durante una terapia, e ciò incrementa la probabilità di compiere un errore. Questa evenienza è specialmente vera nei campi delle terapie manuali e mente-corpo, i quali faticano a soddisfare appieno i criteri della medicina basata sulle evidenze (es. è difficile definire un placebo per un trattamento manuale). Superare queste limitazioni tramite una solida ricerca biomedica, sia quantitativa sia qualitativa, migliorerà le terapie, la sanità e i servizi sanitari così da migliorare la salute e la qualità di vita delle persone.

Ulteriori informazioni

RINGRAZIAMENTI

Ogni autore ha contribuito equamente a questo articolo. Siamo grati a Silvia Clara Tuscano per aver revisionato il resto.

Parole chiave: Stress, Glucocorticoidi, Catecolamine, Sistema immunitario, Fascia, Tessuto connettivo, Miofibroblasto, Meccanobiologia, Psiconeuroendocrinoimmunologia, Revisione

Mandare la corrispondenza a: Nicola Barsotti, C.M.O. Centro di Medicina Osteopatica, Via Ungheria 32, 50126, Firenze, Italy, Tel: 055-653-2824, E-mail: nicola.barsotti@cmosteopatica.it

Titolo corrente: Stress, immunità, sistema nervoso e fascia

Abbreviazioni: HPA: asse ipotalamo-ipofisi-surreni; AVP: arginina vasopressina; OXT: ossitocina; SNS: sistema nervoso ortosimpatico; CRH: ormone rilasciante la corticotropina; ACTH: ormone adrenocorticotropo; TRH: ormone rilasciante la tireotropina; PVN: nucleo ipotalamico paraventricolare; RVM: midollo rostrale ventromediale; IL: interleuchina; SNA: sistema nervoso autonomico; MEC: matrice extracellulare; ILC: cellula linfoide innata; NK: natural killer; Th: T helper lymphocyte; IFN: interferone; TGF: fattore di crescita trasformante; AGE: prodotto finale della glicazione; GAG: glicosaminoglicano; MMP: metalloproteinasi; EMT: transizione epitelio-mesenchimale; NF-kappaB: fattore nucleare kappa B; SMA: actina della muscolatura liscia; LLC: grande complesso latente; NO: ossido nitrico; PPAR: recettore attivatore da proliferatori perossisomiali; Nrf2: fattore nucleare eritroide 2; GSE: estratto di semi d’uva; SOD: superossido dismutasi; COX: cicloossigenasi; ROS: specie reattive dell’ossigeno; LGCI: infiammazione cronica di basso grado; FGF: fattore di crescita dei fibroblasti; NADPH: nicotinammide adenina dinucleotide fosfato; SAT: tessuto adiposo superficiale; M1: macrofago di tipo 1; M2: macrofago di tipo 2; DNA: acido desossiribonucleico; NET: trappola extracellulare del neutrofilo

Figura 1. La relazione fra l’asse dello stress, il sistema immunitario e la fascia: l’attivazione dell’asse HPA stimola le surrenali a rilasciare catecolamine e cortisolo. Questi ormoni, assieme all’attivazione del sistema nervoso ortosimpatico causata dallo stress, stimolano le cellule immunitarie dentro la fascia. A seconda dell’intensità dello stimolo, macrofagi, mastociti e neutrofili rilasciano molecole che possono influenzare la struttura della fascia.

Figura 2. Le cellule possono cambiare il loro fenotipo quando stimolate. Le cellule endoteliali, epiteliali e mesenchimali possono diventare fibroblasti a causa dell’effetto di citochine infiammatorie, stress meccanico e pH extracellulare; altri stimoli come l’iperglicemia e la chirurgia possono anch’essi indurre questo cambio fenotipico in quanto aumentano l’infiammazione e lo stress meccanico. Tali stimoli – in particolare, TGF-beta1, stress meccanico e ROS – possono stimolare i fibroblasti e molte cellule a diventare miofibroblasti: questi possono produrre contratture in quanto mostrano un’alta concentrazione di fibre alfa-SMA. I fibroblasti e i miofibroblasti appaiono quando l’organismo ha bisogno di aumentare la produzione di matrice extracellulare e di guarire una ferita; lo stress psicofisico può facilitare l’attivazione di queste cellule tramite la secrezione di cortisolo e catecolamine, i quali possono aumentare le citochine infiammatorie e i ROS. I miofibroblasti possono però de-differenziarsi verso il loro fenotipo originale tramite interventi che possono ridurre lo stress meccanico e il livello di infiammazione, o che possono attivare fattore come il PPAR-gamma e il Nrf2: alcuni esempi sono la restrizione calorica, l’attività fisica, le terapie manuali e gli antiossidanti.

 

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