Full Paper

Sensitizzazione e interocezione come concetti neurologici fondamentali nell’osteopatia e nelle altre medicine manuali

Sensitization and Interoception as Key Neurological Concepts in Osteopathy and Other Manual Medicines

Traduzione a cura di: Silvia Clara Tuscano
Autori:

Giandomenico D’Alessandro1,2, Francesco Cerritelli1,3,4*, Pietro Cortelli5,6

1Clinical-based Human Research Department, C.O.ME. Collaboration, Pescara, Italy, 2Accademia Italiana Osteopatia Tradizionale, Pescara, Italy, 3Department of Neuroscience, Imaging and Clinical Sciences “G. D'Annunzio” University of Chieti- Pescara; 4ITAB-Institute for Advanced Biomedical Technologies, “G. D'Annunzio” University of Chieti-Pescara, Italy, 5Department of Biomedical and Neuromotor Sciences, University of Bologna, Bellaria Hospital, Bologna, Italy; 6IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna, AUSL di Bologna, Bologna, Italy

Giornale: Front Neurosci, 2016 March 10;10:100
Abstract:

Storicamente, gli approcci utilizzati in medicina manuale per spiegare i sintomi lamentati dal paziente sono stati incentrati sul cosiddetto paradigma esterocettivo. Probabilmente, questa prospettiva non dispone di un idoneo «sistema di lettura» con il quale interpretare i disturbi muscoloscheletrici partendo da una diversa prospettiva, che integri le proprietà del sistema nervoso in un contesto più olistico e funzionale. È interessante notare che, se si prendono in considerazione i meccanismi alla base di un determinato scenario/effetto di un trattamento, la maggior parte dei risultati della ricerca tendono a fornire una spiegazione propriocettiva/esterocettiva, lasciando da parte il ruolo complementare o addirittura centrale dell’interocezione. Fino ad oggi, le conoscenze teoriche recentemente prodotte dalle teorie neuroscientifiche e dalle evidenze relative all’interocezione, alla sensitizzazione, al contatto manuale, alle funzioni neurovegetative, all’infiammazione e al dolore non sono ancora state integrate nel-lo scenario clinico e di ricerca delle medicine manuali, nonostante il fatto che, almeno a livello teorico, sembrino poter avere un impatto importante sui possibili meccanismi eziologici e sugli effetti del trattamento. Presentiamo qui i fondamenti teorici, basati sull’interocezione e la sensitizzazione, di una nuova modalità di interpretazione e lettura dello scenario dei risultati clinici descritti dal paziente. Sosteniamo che questo potrebbe essere il sostrato sul quale fondare la futura ricerca, in base all’ipotesi che le terapie manuali e in particolare l’osteopatia possano interferire a tutti i livelli con gli stati di sensitizzazione, utilizzando le vie interocettive.

Articolo

INTRODUZIONE: AFFERENZA – ELABORAZIONE CENTRALE – EFFERENZA

L’interocezione può essere definita come il processo di rappresentazione, istante per istante, delle sensazioni somatiche provenienti dal corpo stesso (Craig, 2002). Una definizione più ampia descrive l’interocezione come un costrutto multidimensionale, comprendente le modalità con cui il soggetto valuta e reagisce a tali sensazioni (Cameron, 2001). È interessante notare che diversi problemi di salute sono connessi con l’alterazione dei processi interocettivi, fra cui il dolore cronico (Schmidt et al., 1989), i disturbi post-traumatici da stress (Wald and Taylor, 2008), i disturbi affettivi (Paulus and Stein, 2010), le dipendenze (Naqvi and Bechara, 2010), i disturbi alimentari (Polla-tos et al., 2008, Herbert and Pollatos, 2014), i disturbi somatoformi (Mirams et al., 2012, Schaefer et al., 2012) e i disturbi dissociativi (Hankin, 2012, Michal et al., 2014, Sedeno et al., 2014).
La sensitizzazione viene definita come una risposta di amplificazione, avente basi neurologiche, prodotta dagli stimoli ripetuti. Ad oggi, le evidenze confermano in maniera omogenea che diversi sottoinsiemi di pazienti, sia sofferenti che esenti da sindromi dolorose, sono affetti da una sensitizzazione documentata (tabella 1). Ciononostante, non è stato ancora chiarito con quali misure e test si possa riconoscere tale condizione di sensitizzazione in modo clinicamente oggettivo (per le linee guida, si veda Nijs et al., 2010).
Lo stretto legame tra interocezione e sensitizzazione (Flor et al., 2004), le risposte individuali alla sensitizzazione in funzione del tempo (Baron et al., 2013) e la variabilità clinica inter-personale creano uno scenario in cui gli operatori devono affrontare un ampio spettro di condizioni cliniche, a volte caratterizzate da quanto segue:
1. sintomi inspiegabili, come ad esempio il dolore al petto che può dipendere da un’elaborazione aberrante del dolore proveniente dall’esofago, a causa della sensitizzazione delle cellule nel corno dorsale spinale e dei centri sovra-spinali (Mertz et al., 1998);
2. eterogeneità clinica, che considera gli effetti neurovegetativi come un importante co-aspetto delle manifestazioni cliniche del paziente;
3. patogenesi indecifrabile, come per esempio un attacco di angina proiettato sul sito di una vecchia frattura vertebrale (Henry e Montuschi, 1978);
4. validità clinica causale degli esami strumentali, cioè il fatto che l’aggravarsi dell’osteoartite sembra essere associata alla sensitizzazione piuttosto che all’effettiva degenerazione articolare verificata con i punteggi radiologici (Arendt-Nielsen et al., 2010);
5. esiti incomprensibili dei trattamenti, ovvero il fatto che l’iperalgesia muscolare riferita può persistere anche a lungo dopo la scomparsa del focolaio principale nel viscere (Giamberardino, 2003);
6. prognosi imprevedibile, p. es. la presenza di un processo di sensitizzazione dopo una lesione da colpo di frusta si rivela importante per prevedere lo sviluppo della cronicità (Sterling et al., 2003);
7. incertezza degli effetti e dei meccanismi terapeutici a livello clinico rispetto al livello scientifico.

I sette punti sopra menzionati potrebbero evidenziare la normale eterogeneità tipica della pratica clinica quotidiana, che a sua volta potrebbe influire negativamente sulla capacità dell’operatore di ottenere risultati ottimali per migliorare la salute dei pazienti. Tuttavia alcuni risultati neurologici scoperti negli ultimi vent’anni di ricerca scientifica e basati soprattutto sull’interocezione e sulla sensitizzazione, potrebbero forse rivoluzionare la modalità con cui gli operatori «interagiscono» con il paziente nel contesto clinico.
Scopo della presente revisione è introdurre, discutere e diffondere i concetti di interocezione e di sensitizzazione che stanno emergendo nel contesto della medicina manuale e in particolare nell’osteopatia. A tal fine proponiamo un paradigma interdisciplinare e innovativo (il «paradigma interocettivo») per interpretare sia i segni e i sintomi del paziente sia le variazioni fenomenologiche del paziente stesso, sottolineando il possibile uso di tale paradigma per ulteriori ricerche cliniche e di laboratorio.

IL SISTEMA AFFERENTE: GLI STIMOLI AFFERENTI AL SNC

La moderna classificazione del sistema sensoriale ha origine dalle ricerche di Sir Charles Sherrington, il quale ha codificato le modalità dei sensi in telocettive (vista e udito), propriocettive (posizione degli arti), esterocettive (tatto, ivi inclusi temperatura e dolore), chemocettive (olfatto e gusto) e interocettive (viscerali) (Sherrington, 1906). Tuttavia, alla luce delle recenti scoperte nel campo dell’anatomia neurofunzionale, il sistema sensoriale può essere diviso in: telorecettivo, esterocettivo/propriocettivo (classificato anche come sistema sensoriale A) e interocettivo/nocicettivo (altrimenti definito sistema sensoriale B) (Craig, 2002). Le differenze tra il sistema A e il sistema B sono state anche dimostrate a livello embriologico: lo sviluppo delle afferenze interocettive di piccolo calibro che hanno origine dalle piccole cellule (B) è coordinato allo sviluppo delle cellule della lamina 1 e rappresenta un’entità ben distinta da quella delle afferenze esterocettive di grande calibro che hanno origine dalle grandi cellule (A) che proiettano nelle profondità del corno dorsale, non collegate con i neuroni della lamina 1 (Woodbury et al., 2001, Prechtl and Powley, 1990). Questa differenza embriologica implica non soltanto la presenza di composti anatomici diversi (cioè tipo e distribuzione dei recettori, tipo delle fibre nervose afferenti primarie, tipo delle vie afferenti centrali) ma anche particolari caratteristiche funzionali e fisiologiche (cioè label lines, tipo di sensazione – epicritica contrapposta a protopatica, soglia di attivazione delle fibre, processo di abituamento, sensazioni psicofisiche diverse). Queste caratteristiche necessitano di due metodi chiaramente distinti per la decodificazione degli stimoli esterni e interni.

Gli stimoli possono essere di varia natura, e vengono organizzati per tipologia – metabolici, fisici, chimici, meccanici e fluidici – in funzione del tempo – acuti o cronici – per frequenza e intensità – bassi o alti. Pertanto, gli stimoli provenienti dall’esterno e dall’interno vengono decodificati selettivamente mediante un processo innescato a seconda di quale delle due vie sensitive è capace di rilevare le variazioni (la principale caratteristica di qualsiasi recettore) che producono i potenziali d’azione. Di conseguenza, gli animali sono in grado di decodificare, elaborare, percepire l’ambiente esterno (soprattutto attraverso il sistema telorecettivo e esterocettivo, cioè il sistema sensoriale A) e l’ambiente interno (tipicamente utilizzando il sistema sensoriale interocettivo, cioè il sistema B).

INTEROCEZIONE

L’interocezione è stata recentemente reinterpretata da Craig come «il senso della condizione fisiologica del corpo nel suo complesso» (Craig, 2002), senza più quindi limitarla alla sola afferenza viscerale come storicamente aveva fatto Sherrington. Questo sistema è una via afferente omeostatica continua, che si sostiene potrebbe essere la via sensoriale complementare al sistema neurovegetativo (Craig, 2013) la quale trasmette i segnali provenienti dalle fibre afferenti primarie di piccolo calibro, A-delta e C, le quali forniscono informazioni sullo stato fisiologico di tutti i tessuti corporei. Una volta che le informazione omeostatiche provenienti dai tessuti sono state decodificate, vengono inviate alla parte anteriore dell’insula, dopo aver fatto sinapsi a diversi livelli (midollo spinale, lamina I e II, tronco encefalico-regioni omeostatiche, talamo). Al livello dell’insula, emerge una meta-rappresentazione della percezione del sé, in quanto entità capace di sentire (senziente), la quale costituisce un precursore della consapevolezza emotiva. Informazioni più dettagliate sulle evidenze interocettive sono reperibili altrove (Craig, 2002, Craig, 2003, Craig, 2009).
Evidenze neurobiologiche concordanti hanno sottolineato che la corteccia insulare (IC) è un nodo fondamentale per l’integrazione interocettiva multimodale. Per tale motivo, si ritiene che l’IC sia coinvolta nei processi interocettivi, per esempio nella consapevolezza delle sensazioni corporee (Khalsa et al., 2009), ma anche nei processi esterocettivi, come la percezione del dolore (Brooks et al., 2002, Gramsch et al., 2014), del gusto (Gagnon et al., 2014, Iannilli et al., 2014, Parabucki and Netser, 2014, van den Bosch et al., 2014), dell’olfatto (Kurth et al., 2010) e del tatto (McGlone et al., 2014). Inoltre, nell’insula anteriore i domini emozionali si sovrappongono allo scenario interocettivo ed esterocettivo (Kurth et al., 2010), il che induce a ipotizzare una comunanza di fondo (Critchley et al., 2002). In effetti, è stato suggerito che l’insula sia un punto di convergenza tra l’ambiente interno e quello esterno (Ibanez and Manes, 2012, Azanon and Soto-Faraco, 2008, Azanon et al., 2010, Mazzola et al., 2009). Oltre a questo, è stato dimostrato che i segnali esterni potrebbero essere anch’essi considerati come segnali di uno spazio peripersonale interocettivo mappato sul corpo (Couto et al., 2015), in particolare nel contesto del dolore dove i segnali afferenti potrebbero essere interpretati come un’estensione dell’elaborazione interocettiva rispetto allo spazio peripersonale (Ferri et al., 2013). In particolare, sulla base delle nuove evidenze emerse nel campo del contatto manuale rapportato all’interocezione, si può ipotizzare l’esistenza di un «tocco interocettivo» (anche definito come tocco gentile/affettivo) il quale viene mediato da fibre meccaniche C a bassa soglia di attivazione (definite fibre C-tattili o CT), le cui informazioni vengono analizzate nelle stazioni interocettive, ovvero nella lamina II del midollo spinale, nel talamo e nella corteccia insulare (McGlone et al., 2014).
Nell’insieme, le evidenze disponibili indicano che le informazioni sensoriali (come la nocicezione e il tatto) possono essere integrate nelle reti insulari secondo modalità peripersonali e poi ulteriormente elaborate dai meccanismi della consapevolezza emotiva e del comportamento sociale.

ELABORAZIONE CENTRALE: LO STATO DI SENSITIZZAZIONE

La sensitizzazione è generalmente definita come un processo di apprendimento non associativo, nel quale gli stimoli ripetuti causano una progressiva amplificazione di una risposta (Ursin, 2014). La sensitizzazione è stata considerata una forma di memoria «nocicettiva» a causa delle analogie tra i meccanismi che la caratterizzano e i meccanismi mnemonici (Ji et al., 2003). Combinando insieme gli aspetti neuroanatomici e neurofisiologici, è possibile distinguere la sensitizzazione periferica (PS) da quella centrale (CS). La PS viene definita come un incremento della responsività e, pertanto, come una riduzione della soglia di stimolazione dei recettori (Sandkühler, 2009). Si è sostenuto che essa abbia un ruolo protettivo (Nijs et al., 2014) visto che un’accresciuta sensitività al dolore nel sito dell’infiammazione (Ji et al., 2003) può prevenire ulteriori danni (Sandkühler, 2007). In effetti, la PS è caratteristica dei tessuti in cui vengono liberati i mediatori dell’infiammazione, come la prostaglandina E2, la bradichinina, il fattore di crescita nervoso, la sostanza P (SP) e a loro volta alterano la soglia di attivazione e la cinetica dei recettori e i canali ionici delle terminazioni nervose nocicettive A-delta e C (sensitizzazione dei recettori). La PS si esprime a livello clinico attraverso l’iperalgesia primaria (aumento della sensitività al dolore nel sito della lesione) (Sandkühler, 2009, Cervero, 2009) e l’allodinia (dolore in risposta ad uno stimolo non nocicettivo) (Sandkühler, 2009). La CS è un processo cellulare di accresciuta eccitabilità (Sandkühler, 2007) che avviene all’interno del SNC. La CS comprende un’elaborazione sensoriale alterata nel SNC, come ad esempio: (1) alterazioni delle vie inibitorie discendenti che hanno origine dalla sostanza grigia periacqueduttale e dal bulbo ventrale rostrale (Meeus et al., 2008), (2) sommazione temporale del secondo dolore (wind-up; Arendt-Nielsen et al., 1994).
Storicamente, la prima stazione in cui è stata rilevata la CS lungo il SNC è stata il midollo spinale. La sensitizzazione del midollo spinale è caratterizzata da: (1) abbassamento della soglia, (2) aumento delle dimensioni del campo ricettivo, (3) evocazione di risposte più intense nei neuroni spinali ipereccitabili del corno dorsale in conseguenza di una breve raffica di afferenza nocicettiva (Woolf and Wiesenfeld-Hallin, 1986, Woolf, 1993). Questo fenomeno è noto come «CS attività-dipendente» (Ji et al., 2003) o «facilitazione omosinaptica» ed è caratterizzato dalla liberazione di numerosi neurotrasmettitori, tra i quali quelli SP (per revisioni, si vedano Ji et al., 2003, Sandkühler, 2009). La sensitizzazione del midollo spinale è un fenomeno multiforme nel quale agiscono almeno tre fattori, seppur secondari: (1) il sistema afferente A, (2) le cellule gliali spinali e (3) i motoneuroni del corno ventrale. (1) Sia in conseguenza di un’infiammazione periferica che di una lesione nervosa, sono state dimostrate commutazioni fenotipiche in alcuni grandi sistemi A (non nocicettivi), laddove neuroni DGR cominciano a esprimere molecole chiave tipiche della CS, ovvero SP e BDNF (Mannion et al., 1999, Neumann et al., 1996). (2) Le cellule gliali spinali svolgono il ruolo di intermediarie tra la lesione iniziale e le alterazioni plastiche neuronali che conducono all’amplificazione del dolore (Sandkühler, 2009), mentre la microglia del corno dorsale sembra avere un ruolo specifico nell’indurre il dolore neuropatico (Watkins et al., 2001). Nonostante questo, dopo un’infiammazione o lesione periferica, la microglia (Aldskogius and Kozlova, 1998) e gli astrociti (Lee et al., 2009) del corno dorsale spinale aumentano di numero. (3) Anche se la ricerca sulla CS riguarda soltanto indirettamente i motoneuroni del corno ventrale, dal momento che utilizza l’effetto di ritrazione – un surrogato della nocicezione amplificata (Sandkühler, 2009)-, recentemente è stata descritta una sensitizzazione mediata direttamente dalla bradichinina nei motoneuroni spinali lombari del ratto (Bouhadfane et al., 2015).
Benché i precisi meccanismi restino ancora poco studiati, sembra che sia necessaria una somma di eventi per innescare e mantenere la condizione di sensitizzazione nel midollo spinale, che clinicamente si evidenzia soprattutto con l’iperalgesia secondaria, cioè con un’accresciuta sensitività al dolore in una regione adiacente al sito dove è avvenuta la lesione (Sandkühler, 2009).
Sono stati condotti numerosi studi di ricerca per esaminare la sensitizzazione neuronale ai livelli superiori del percorso interocettivo, in particolare: (a) tratto spinotalamico (Willis, 2002, Simone et al., 1991); (b) tronco encefalico: bulbo rostroventrale (Porreca et al., 2002) e nuclei del trigemino (Hu et al., 1992) – soprattutto il sottonucleo caudale del trigemino (Cao et al., 2013, Wang et al., 2013); (c) diencefalo, neuroni talamici (Kaneko et al., 2011, Park et al., 2006), nella via cingolata anteriore del talamo (Shyu and Vogt, 2009), neuroni ipotalamici (Donnerer and Liebmann, 2015, Peng et al., 2011, Daviu et al., 2014), lungo l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (Daviu et al., 2014); (d) a livello del telencefalo, compresa la corteccia cingolata anteriore (Wei and Zhuo, 2001), l’amigdala (Neugebauer and Li, 2003) e la corteccia dell’insula (Qiu et al., 2014).
Nell’insieme, gli studi sulla sensitizzazione cominciano a dimostrare che la PS è un fenomeno molto ben studiato, che si avvale di vie biologiche chiaramente identificate. Viceversa, a parte per quanto concerne la sensitizzazione del midollo spinale, la CS resta un ambito dove la ricerca è ancora in corso e dove, anche se sono state descritte diverse particolarità riguardo a vari livelli neuronali, manca ancora uno scenario univoco che definisca lo stato di sensitizzazione centrale.

IL SISTEMA EFFERENTE: LA DICOTOMIA VEGETATIVO-SOMATICA

La via efferente può essere divisa in un sistema «somatico» e «vegetativo», all’interno del sistema nervoso centrale (neurone superiore) e periferico (neurone inferiore). Il sistema «somatico» è composto da tutti i tratti che controllano i movimenti motori, mentre la via «vegetativa» regola tutte le funzioni non controllate dal sé cosciente.
Efferenza vegetativa
Intorno all’inizio del XX secolo, John N. Langley ha coniato i termini di «sistema nervoso autonomo» e di «sistema nervoso parasimpatico» (Langley, 1921) per descrivere un sistema indipendente, involontario e adibito al controllo del «mondo interno» del corpo. Tuttavia, la classica distinzione tra simpatico e parasimpatico è stata recentemente rivista alla luce delle risposte differenziate agli stressori, e al diverso coinvolgimento delle varie parti del sistema neurovegetativo (SNA) negli stati patofisiologici (Buijs, 2013, Buijs et al., 2003). Goldstein ha proposto che il SNA sia dotato di almeno cinque componenti, ciascuna con una specifica funzione: il sistema noradrenergico simpatico, il sistema colinergico simpatico, il sistema colinergico parasimpatico, il sistema adrenergico simpatico e il sistema nervoso enterico (per revisioni, si vedano Goldstein, 2001, Goldstein, 2006, Goldstein, 2013b, Goldstein and McEwen, 2002). Inoltre, il SNA non dovrebbe essere considerato solo come un sistema addetto alla semplice esecuzione dei comandi del cervello, poiché in effetti funziona anche come circuito riflesso e utilizza il feedback sensoriale proveniente dagli organi per modificare e regolare finemente l’efferenza, aggiustando in tal modo lo stato fisiologico del corpo.
Anche se si sa molto riguardo all’organizzazione delle vie neurovegetative efferenti in direzione degli organi, ben poco è noto sul feedback proveniente dagli organi verso il cervello. Sembra di poter supporre con certezza che ciascun organo può raggiungere il cervello, per esempio mediante la liberazione di ormoni, e in tal modo può fornire un feedback al centro di controllo del SNA, principalmente attraverso la via interocettiva. La maggior parte di questi segnali metabolici possono avere l’obiettivo di regolare la funzione dell’organo in maniera «riflessa», ma secondo alcune evidenze tale feedback potrebbe ripercuotersi, tramite un feedback sensoriale neuronale, sulla funzione di altri organi o su certi comportamenti (Uno et al., 2006, Warne et al., 2007). Questo meccanismo è stato anche definito, nel contesto dell’infiammazione, un meccanismo infiammatorio neurogeno o, più recentemente, una «neuro-infiammazione neurogena» (Xanthos and Sandkühler, 2014) per evidenziare il coinvolgimento delle fibre nervose afferenti (in particolare le fibre afferenti amieliniche di tipo C – sistema afferente B) che, mediante trasmissione antidromica, partecipano alla reazione infiammatoria locale in risposta alle alterazioni metaboliche locali dovute, per esempio, a infezione, trauma, stress, alterazioni ormonali, ovvero a variazioni nell’ambiente interocettivo. Lo scopo è mantenere l’integrità delle condizioni di vita nell’ambiente interno – originariamente definito «milieu intérieur» (Bernard, 1912) poi ampliato nel concetto di «omeostasi» (Cannon, 1929) – tramite un meccanismo di adattamento allostatico (McEwen, 2007), che può comprendere la liberazione di sostanze chiave come la SP, i glucocorticoidi, le catecolamine e le varie citochine (Goldstein and Kopin, 2008, McEwen, 2007).
Il processo attivo di risposta alle sollecitazioni prende il nome di «allostasi». Esso prevede la partecipazione di numerosi mediatori, tra cui quelli autonomi, il cortisolo, i fattori immunitario/infiammatori, metabolici e i neuromodulatori all’interno del cervello, i quali interagiscono in maniera non lineare e promuovono la sintonizzazione dell’adattamento a breve termine. Un uso eccessivo (vale a dire, troppo stress) o la disregolazione tra i mediatori (p. es. troppo cortisolo, o troppo poco; troppe citochine infiammatorie, o troppo poche) possono causare variazioni cumulative che vengono definite «carico e sovraccarico allostatico» (McEwen, 1998) le quali possono a loro volta determinare lo stato di sensitizzazione. Questo carico allostatico, una risposta di usura prodotta dall’attivazione ripetuta di meccanismi adattivi, può perdurare a lungo e alla fine provocare una significativa alterazione dei sistemi di resilienza fisiologica (McEwen et al., 2015a, McEwen et al., 2015b), causando l’esacerbazione dei sintomi clinici, compreso il dolore cronico.
Oltre a ciò, come hanno dimostrato diversi studi, l’infiammazione neurogena può emergere anche in un sito remoto rispetto a quello dell’esposizione iniziale (Black, 2002). Ciò può avvenire tramite diversi e specifici metaboliti (cioè, SP), meccanismi (cioè il riflesso assonale, la riverberazione) e sistemi (cioè il sistema immunitario; per una revisione, si veda Xanthos and Sandkühler, 2014). Inoltre, recenti evidenze suggeriscono che l’attività neuronale nelle fibre nervose afferenti primarie del peptide C, oppure nei neuroni di ordine superiore, sia sufficiente per attivare i neuroni nel midollo spinale, nelle cellule vascolari e nelle cellule immunitarie innate e adattive (Xanthos and Sandkühler, 2014).
È interessante notare che il controllo centrale sull’efflusso delle informazioni nervose del simpatico è organizzato strategicamente e assume la forma di una lunga catena di motoneuroni,nella colonna intermediolaterale del midollo spinale. Quest’organizzazione segmentale permette ai motoneuroni che producono ACh di fare sinapsi con diversi e molteplici gangli situati lungo il midollo spinale, il quale contiene neuroni che usano neurotrasmettitori differenti (cioè noradrenalina/norepinefrina, neuropeptide Y; Lundberg et al., 1983). Questo scenario anatomico e funzionale permette di ampliare le risposte vegetative efferenti in direzione di diversi organi e tessuti, creando la base neurologica per modificare le funzioni dei siti corporei remoti.
Efferenza muscolo-scheletrica (precisione e intensità alfa gamma)
La seconda via in uscita è l’efferenza somatica, caratterizzata da una componente centrale e una periferica. La prima è basata su una serie di tratti che trasmettono informazioni diverse, provenienti da differenti aree cerebrali (cioè da corteccia motoria, cervelletto, gangli basali, prosencefalo, mesencefalo) adibite a funzioni diverse. La seconda è caratterizzata da neuroni somatici efferenti specifici (motoneuroni alfa, beta e gamma) interconnessi a seconda della funzione (cioè, il meccanismo di co-attivazione alfa-gamma) i quali controllano l’accuratezza e l’intensità della forza nei muscoli striati di tutto il corpo (tratto corticospinale proveniente dalla corteccia motoria), regolano la posizione della testa in risposta alle informazioni visive/uditive (tratto tetto-spinale proveniente dai collicoli superiori/inferiori), mantengono l’equilibrio (cervelletto-tratto spinale-cervelletto, tratto rubrospinale-nucleo rosso, tratto reticolospinale-formazione reticolare).
Integrazione tra i due sistemi
L’interconnessione tra i due sistemi è chiara sia dal punto di vista neurologico che da quello metabolico. Sul piano neurologico, l’efferenza vegetativa e l’efferenza muscolo-scheletrica sono integrate e reciprocamente modulate a livello centrale in molte regioni dell’asse neurale. Inoltre, entrambe sono integrate con il sistema neuroendocrino, permettendo un livello estremamente complesso di integrazione, che riveste un’importanza cruciale per ottenere una risposta coordinata che possa garantire l’omeostasi (Jänig, 2006). Sul piano metabolico, i nervi, sia somatici che neurovegetativi, sono strettamente associati alle cellule infiammatorie; ciò vale in particolar modo per le mastcellule che sotto molti aspetti assomigliano alle cellule nervose (Purcell and Atterwill, 1995) come confermato dal modello dell’infiammazione basato sullo stravaso di plasma indotto dalla bradichinina (Jänig and Green, 2014). Inoltre, recenti evidenze hanno dimostrato un reciproco rapporto somato-vegetativo mediante l’attivazione di una via immuno-mediata (Sankowski et al., 2015).

APPLICAZIONI E IMPLICAZIONI CLINICHE

«La medicina scientifica integrativa non è una disciplina o un metodo di trattamento bensì un nuovo modo di pensare che applica la teoria dei sistemi per comprendere la normale fisiologia e i disturbi clinici, fornendo un quadro di riferimento per capire le complesse e dinamiche sollecitazioni che minacciano l’integrità del nostro organismo e, di conseguenza, per sviluppare nuovi trattamenti basati sulla complessità e il dinamismo» (Goldstein 2013b, p16).
Secondo la teoria dell’omeostasi, lo stress è da considerarsi uno stato o una condizione nella quale le aspettative non corrispondono più alle percezioni dell’ambiente esterno o interno (Goldstein and McEwen, 2002). Quest’incongruenza produce risposte secondo modelli e compensazioni capaci di modificare non solo la fisiologia di un organo bersaglio ma anche la reazione generale del corpo. Lo stress può essere interpretato come un segnale di errore, scatenato da diverse fonti o trigger (cioè lesione traumatica, condizione psicologica, malattie genetiche e/o acquisite) che possono riflettere la differenza tra l’informazione afferente per come viene percepita, l’elaborazione neurale centrale «multimodale» e una serie di effetti provocati da un’entità regolatrice, forse da individuarsi nel SNA (Goldstein, 2013a). Da questa teoria scaturisce intuitivamente un’applicazione clinica pratica utile per interpretare l’anamnesi clinica del paziente e gli effetti del trattamento.
Implicazioni per la terapia manuale, in particolare per l’osteopatia
Come regola generale, i concetti sopra citati possono essere applicati in qualsiasi approccio (para-)medico, ivi compresi i metodi che si avvalgono del contatto manuale. Nell’ambito della presente revisione, i paragrafi successivi sono soprattutto dedicati alla trasposizione dei concetti di sensitizzazione e interocezione nel campo dell’osteopatia, un approccio della medicina manuale che non si avvale di farmaci, e che usa il contatto manuale e la manipolazione per effettuare la diagnosi, la valutazione e il trattamento (Cerritelli et al., 2015a, Cerritelli et al., 2015b). Le procedure osteopatiche includono una valutazione strutturale seguita da un trattamento. La valutazione strutturale mira a diagnosticare le disfunzioni somatiche. Comprende un’accurata valutazione manuale del cranio, del rachide, del bacino, dell’addome, degli arti superiori e inferiori allo scopo di individuare le regioni corporee nelle quali sussiste un’alterazione di specifici parametri tissutali. Il trattamento si articola nell’applicazione di una gamma di tecniche manipolative, finalizzate ad alleviare le disfunzioni somatiche. Nonostante sia precipuamente focalizzata sull’osteopatia, la presente revisione ha tra i suoi obiettivi anche quello di proporre una pratica clinica moderna e fondata sulle neuroscienze, capace di possa «leggere e interpretare» i segni e sintomi dei pazienti in modo ampiamente condiviso da parte di tutte le discipline.
Sono davvero poche le ricerche che hanno studiato l’effetto della manipolazione osteopatica sulle funzioni cerebrali. Fryer et al. hanno sottolineato che l’applicazione di una singola manipolazione osteopatica ad alta velocità e bassa ampiezza sull’articolazione lombosacrale può ridurre l’eccitabilità riflessa spinale e corticospinale, misurata con TMS ed EMG, suggerendo un effetto inibitore al livello del midollo spinale (Fryer and Pearce, 2012).
Inoltre, il TMO sembra essere associato a una riduzione delle sostanze pro-infiammatorie sia in vitro (Meltzer and Standley, 2007) che in vivo (Licciardone et al., 2012, Licciardone et al., 2013), inducendo a ipotizzare che il TMO abbia un ruolo antinfiammatorio, pur se soltanto parzialmente confermato dalle recenti ricerche in ambito clinico (Degenhardt et al., 2014).
Le manipolazioni osteopatiche, pertanto, potrebbero ridurre la liberazione di citochine e l’attività simpatica, innescando una cascata di eventi biologici e neurologici che modulano i meccanismi antinfiammatori e neurovegetativi. È stato dimostrato che l’applicazione del TMO influisce sul SNA, producendo un effetto parasimpatico (Giles et al., 2013, Henley et al., 2008, Ruffini et al., 2015) e dunque portando verso uno stato di sintonizzazione trofotropica (Ruffini et al., 2015). È interessante notare che non è stata rilevata alcuna differenza nel controllo, sottoposto a una simulazione che prevedeva un leggero contatto manuale con semplice toccamento. Ciò potrebbe implicare che la produzione di effetti è legata alla somministrazione di un contatto manuale «tecnico». Per questo motivo, l’operatore e la sua formazione rivestono un ruolo centrale.
Ancora più recentemente, alcune evidenze basate su ricerche di laboratorio hanno dimostrato l’effetto di tecniche osteopatiche specifiche sul potenziamento del sistema immunitario e linfatico (Schander et al., 2012, Schander et al., 2013) migliorando la conta dei leucociti e l’interleuchina 8 (IL-8). Questi risultati sono stati confermati in un recente articolo del 2014, che ha riscontrato differenze significative nei livelli delle molecole immuni, ivi inclusa l’IL-8, confrontando il TMO e il controllo, che consisteva in una simulazione con leggeri sfioramenti (Walkowski et al., 2014). Il TMO, quindi, potrebbe avere effetto anche sul profilo immunologico di specifiche citochine e leucociti presenti nella circolazione. Come suggerito da Xanthos e Sandkühler, per interrompere il circolo vizioso neuro-infiammatorio neurogeno, potrebbero essere raccomandati trattamenti e interventi mirati su vari livelli, onde inibire la fonte dell’infiammazione e dei processi neuro-infiammatori, oppure per favorire la risoluzione dell’infiammazione (Xanthos and Sandkühler, 2014). Ipotizzando che il trattamento osteopatico possa soddisfare questi requisiti, e in particolare l’azione antinfiammatoria, si potrebbe sostenere che l’esposizione all’osteopatia possa interrompere la neuro-infiammazione e ridurre gli esiti patologici.
Tuttavia, anche se alcune evidenze iniziali hanno cercato di studiare i meccanismi d’azione dell’osteopatia, non vi è alcun consenso su quali possano essere i «canali» utilizzati dall’osteopatia per produrre i suoi effetti. In effetti, storicamente la conoscenza diagnostica della medicina manuale è basata e costruita sulla considerazione prevalentemente esterocettiva del sintomo (cioè, su interpretazione posturale, catene muscolari) la quale a sua volta poggia sul puro «paradigma muscolo-scheletrico» o «paradigma esterocettivo», per cui (1) l’attività afferente propriocettiva/esterocettiva è integrata (2) nei sistemi motori centrali e (3) l’efferenza fuoriesce attraverso la via finale comune di Sherrington (motoneuroni alfa-gamma del corno anteriore del midollo spinale). Questo è il tipo di «paradigma esterocettivo» usato, per esempio, nell’ipotesi di Korr, secondo cui il riflesso di allungamento monosinaptico iperattivo può spiegare la riduzione dell’ampiezza motoria (o range of motion – ROM) (Korr, 1975, Howell et al., 2006). Tuttavia, ai fini della pratica clinica di routine, è importante che gli operatori clinici riconoscano che le sensazioni provenienti dal corpo, come il dolore, sono neurologicamente diverse dalla propriocezione e dalla meccanocezione tattile a tutti i livelli. Infatti gli operatori della medicina osteopatica (OM) si trovano quotidianamente dinanzi a casi che non possono essere spiegati completamente dal «paradigma esterocettivo» in quanto privo di un «sistema di lettura clinica» che sia capace di considerare il paziente come un tutto unico e non come una semplice entità corporea muscolo-scheletrica. Per questa ragione è auspicabile adottare un approccio più ampio, forse più idoneo a meglio spiegare, valutare, collegare e prevedere i segni e i sintomi dei pazienti.
Proponiamo qui il «paradigma interocettivo» nel quale (1) l’alterazione (acuta e cronica) delle informazioni interocettive conduce a (2) «stati di sensitizzazione» (SS) neurologici che esprimono la loro disfunzionalità tramite (3) un’attivazione alterata del sistema neurovegetativo (SNA) il quale a sua volta (4) porta il tessuto periferico a uno stato di ipersensibilità e, quindi, getta le basi di un (5) circolo vizioso metabolico e neurologico (anello a retroazione positiva) e a un rapido indebolimento del sistema (figura 1). Il riconoscimento di questo paradigma porterà notevoli vantaggi/benefici nella pratica clinica:
appropriata interpretazione clinica dei sintomi rispetto agli aspetti causali e patogeni;
pertinente capacità di «leggere» e «spiegare» l’anamnesi clinica, collegando gli aspetti relativi alle funzioni organiche, alla neurologia e all’adattamento/compensazione patofisiologica;
adeguata comprensione dei rispettivi ruoli nel rapporto medico-paziente.
Anche se secondo alcuni autori (Sandkühler, 2007, Cervero, 2009) la sensitizzazione è uno stato di accresciuta eccitabilità a livello cellulare, essa può anche essere interpretata secondo una prospettiva più ampia, sia a livello clinico che comportamentale (Coppola et al., 2013, Ursin, 2014), descrivendola come un’accresciuta sensitività al dolore oppure come una maggiore eccitabilità del sistema nervoso centrale (SNC). È stato dimostrato che per innescare, mantenere o compromettere il processo di sensitizzazione è necessaria la presenza di uno stimolo(Melzack et al., 2001, Affaitati et al., 2011, Baron et al., 2013). In quanto stimolo-dipendente, la sensitizzazione può essere considerata una risposta adattiva del SNC alle sollecitazioni ambientali che si presentano attraverso l’afferenza nocicettiva, che non deve necessariamente essere percepita soggettivamente (Kidd and Urban, 2001, Sandkühler, 2009, Treede et al., 1999). Questo fatto è molto importante sia per quanto attiene alla raccolta dell’anamnesi che, più in generale, per quanto concerne la formulazione di una diagnosi. Secondo una prospettiva terapeutica, è importante considerare che il contatto manuale potrebbe costituire un potenziale stimolo capace di modificare lo stato di sensitizzazione. In effetti, recenti evidenze hanno dimostrato l’importanza di un tocco delicato/affettivo per attivare le fibre CT e quindi modulare le vie interocettive. Ciò causa una reazione a livello centrale la quale a sua volta evoca una serie di eventi neurologici che inducono il SNA a rispondere a un determinato stimolo. Questo tipo di contatto è diverso dal ben noto «tocco esterocettivo» che viene mediato dai meccanocettori a bassa soglia (LTM) innervati dalle afferenze A-beta. Questo «tocco esterocettivo» è in grado di rilevare rapidamente, discriminare e individuare gli stimoli esterni per preparare un’appropriata trasformazione senso-motoria. D’altro canto le CT, presenti soltanto sulla cute pelosa/capelluta e non su quella glabra, rispondono agli stimoli meccanici lenti (1-10 cm/s) e deboli (0,3-2,5 mN) (Perini et al., 2015). È stato dimostrato che le CT sono inoltre sintonizzate su una temperatura di 32°C e sono associate al tatto sensuale (Perini et al., 2015, Ackerley et al., 2014) il che ne evidenzia non solo una funzione rilevante a livello sociale (Perini et al., 2015) ma anche un possibile ruolo nello sviluppo neurologico nel periodo perinatale (Bystrova et al., 2009).
Per tradurre queste evidenze nel campo clinico della medicina manuale basata sul tatto occorre sottolineare che, pur se il ruolo delle CT nella modulazione del dolore (e specialmente nell’esperienza dell’allodinia) rimane una questione aperta (Delfini et al., 2013, Nagi et al., 2011), la base razionale per gli approcci della medicina complementare, come il tocco terapeutico può essere ricercata nell’affinità interocettiva di un ben preciso tipo di contatto manuale, capace di attivare le CT (Craig, 2013). Inoltre, questi risultati rivelano che le sensazioni corporee, come per esempio il dolore, sono intrinsecamente legate alle condizioni neurovegetative, come ad esempio allo stravaso plasmatico o al ritmo cardiaco, in quanto si tratta degli aspetti, rispettivamente sensitivi e motori, del medesimo sistema omeostatico. Inoltre, è importante considerare che anche il tocco esterocettivo, mediato dai meccanocettori a bassa soglia, potrebbe modulare l’attività efferente del SNA, specialmente a livello locale (Jänig, 2006, Craig, 2014). Pertanto alla luce della letteratura neuroscientifica predominante è possibile sostenere l’esistenza, anche se non ancora formalmente verificata, di un rapporto tra gli effetti delle terapie manuali, in particolare dell’osteopatia, e le implicazioni interocettive.
È interessante notare che, proseguendo nel trasferimento dei paradigmi neuroscientifici al campo dell’osteopatia, Livingstone (1943) ha proposto che l’attività afferente prodotta dai nevi periferici danneggiati inneschi un modello alterato dell’attivazione all’interno del midollo spinale. Questo autore sosteneva che si verificasse un disturbo nel pool internuciale degli interneuroni del corno dorsale, il che causava un’attività di riverbero che si diffondeva in varie regioni del midollo spinale, ivi inclusa la catena simpatica. Un innalzamento dell’attività nell’efferenza simpatica interferirebbe con la vasoregolazione e indurrebbe ulteriore ipersensibilità del tessuto periferico, conducendo a un aumento dell’afferenza e a un circolo vizioso dell’attività centrale-periferica. Come descritto sopra, se questo processo perdura a lungo si produce uno stato di sensitizzazione. Pertanto, se si ipotizza che il tocco osteopatico produca un effetto antinfiammatorio e iper-parasimpatico, si può sostenere che, mediante la modulazione dell’attivazione vegetativa, possa potenzialmente causare effetti a retroazione positiva sullo stato di sensitizzazione.
Come osservazioni finali, si ricorda la differenza paradossale tra la presenza di fenomeni interocettivi e di sensitizzazione nella pratica clinica osteopatica e la quasi totale assenza di questi concetti nel corpus filosofico, diagnostico e terapeutico della OM. Questo paradosso diviene drammatico se si considera la natura neurologica «qualitativa» (intero/nocicettiva) del sintomo finale che ci si trova ad affrontare nel setting medico: il dolore. Come sostiene Craig, dal punto di vista terapeutico è importante considerare che quando i pazienti riferiscono la loro sintomatologia è possibile che in realtà stiano descrivendo la condizione dei sistemi omeostatici (Craig, 2013). Resta tuttavia incerto il grado di precisione con cui i pazienti descrivono gli stati interni (Petersen 2015). In effetti, potrebbe risultare importante ascoltare e registrare le sensazioni spontanee dei pazienti durante la fase del trattamento. Ciò potrebbe rappresentare una potenziale retroazione omeostatica/allostatica in tempo reale, potenzialmente utile per ottimizzare il piano del trattamento. Inoltre, è importante considerare che lo stato emotivo/psicologico del paziente (cioè l’ansia o la paura) deve essere riconosciuto come parte del processo percettivo. Questo è particolarmente rilevante quando vengono descritti sintomi valutati soggettivamente (cioè dolore e dispnea) (Petersen 2015) visto che determina una sopravvalutazione o una sottovalutazione dei dati interocettivi/nocicettivi.
Inoltre, è stata sottolineata l’importanza dell’interazione tra il cervello e il corpo ai fini del mantenimento dell’omeostasi. Non si tratta soltanto di una regolazione dall’alto verso il basso o riflessa, è anche una questione dei segnali che provengono dagli organi e influiscono sul funzionamento del cervello. L’efferenza del SNC addetta al controllo della propria efferenza autonoma presenta una sorprendente differenziazione: non soltanto vi sono differenti neuroni che possono influire selettivamente sui motoneuroni parasimpatici o somatici, vi sono anche diversi neuroni che proiettano in differenti distretti corporei. In base a tutte queste informazioni, il cervello stabilisce l’equilibrio delle differenti parti del SNA, modificando l’importanza dell’efferenza neurovegetativa a seconda della situazione. Nel caso in cui tale equilibrio venga perturbato, vuoi a causa del comportamento vuoi per una malattia dell’organo/tessuto, ciò può condurre a una patologia capace di influire sul funzionamento dell’intero individuo. Infatti, numerosi studi di ricerca avvalorano l’ipotesi che la mancanza di equilibrio nell’efferenza neurovegetativa verso un singolo organo possa avere effetti non soltanto sull’organo stesso ma anche sull’intera fisiologia corporea.

CONCLUSIONI

La presente revisione presenta il «paradigma interocettivo» come quadro teorico che spiega la reciproca correlazione tra i segni, i sintomi e l’anamnesi clinica dei pazienti nella pratica clinica. Inoltre, suggerisce che le pratiche manuali basate sul tatto, in particolare l’osteopatia che sembra produrre effetti antinfiammatori e iper-parasimpatici, possono offrire un metodo alternativo ed esclusivo per modificare gli stati di sensitizzazione temporanei o permanenti per l’intera durata dell’interazione con il (trattamento dei) tessuti periferici. Si suppone che ciò produca una cascata biologica e neurologica di eventi che modificano i processi interocettivi, interrompendo il circolo vizioso di una condizione infiammatoria a bassa soglia e perdurante. Pertanto, questo lavoro suggerisce i fondamenti teorici alla base di una nuova modalità, basata sui concetti neuroscientifici più aggiornati, per l’interpretazione e la lettura dello scenario clinico dei pazienti. Forse ciò potrà gettare le basi per future ricerche riguardanti la concreta possibilità che le terapie manuali, e in particolare l’osteopatia, possano modificare in modo interattivo gli stati di sensitizzazione, a tutti i livelli, avvalendosi delle vie interocettive.

Ulteriori informazioni

* Corrispondenza: Francesco Cerritelli, francesco.cerritelli@gmail.com

PAROLE CHIAVE

medicina osteopatica, sistema neurovegetativo, paradigma interocettivo, allostasi, omeostasi, infiammazione, nocicezione [osteopathic medicine, autonomic nervous system, interoceptive paradigm, allostasis, homeostasis, inflammation, nociception].

CONTRIBUTO DEGLI AUTORI

GD, FC, PC hanno concepito le idee e redatto la prima bozza dell’articolo. PC ha rivisto il manoscritto e controllato il contenuto teorico del lavoro. Tutti gli autori hanno approvato la versione definitiva.

RINGRAZIAMENTI

Gli autori ringraziano il dr. Jorge Esteves per aver riveduto il manoscritto.

CONFLITTO DI INTERESSI

Gli autori dichiarano che la presente ricerca è stata condotta in assenza di qualsiasi rapporto commericiale o finanziario che potrebbe essere interpretato come potenziale conflitto di interessi.

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